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Chirac: "Noi restiamo nell' Ue"
Presidente accetta "no" a costituzione

Ha voluto la consultazione popolare per approvare la costituzione Ue ma il suo popolo lo ha sonoramente bocciato. Il presidente Jacques Chirac ha accettato il responso referendario: "Questa è la vostra decisione sovrana e io ne prendo atto. Ma la Francia, come socio fondatore dell'unione, resta naturalmente nell' Unione". Chirac ha detto che martedì annuncerà le sue decisioni sul governo e riferirà ai francesi.
Il risultato referendario avrà un grosso impatto non solo sulle relazioni tra Parigi e Bruxelles, ma anche sul governo e in particolare sul premier Jean-Pierre Raffarin la cui sorte è ormai segnata. Da più parti, infatti, vengono date per certe le sue dimissioni. In corsa per la sua sostituzione vi sono i ministri dell' Interno, Dominique de Villepin, della Difesa, Michel Alliot-Marie, e il leader dell' Ump, Nicolas Sarkozi.
L' Eliseo ha confermato che Chirac ha ricevuto, all' indomani della disfatta, Raffarin. Dopo di lui sono sfilati nell' ufficio del capo dello Stato i presidenti dell' Ump, il partito di maggioranza (neogollista), Nicolas Sarkozy, e degli alleati centristi Udf, Francois Bayrou. Dopo di loro sono giunte le due principali cariche istituzionali, il presidente dell' Assemblea nazionale, Jean- Louis Debré, e quello del Senato, Christian Poncelet. Poi è stata la volta degli altri due candidati a sostituire Raffarin, il ministro degli Interni Dominique de Villepin, e quella della Difesa, Michele Alliot-Marie, seguiti dal titolare della Sanità, Philippe Douste-Blazy, e della Coesione sociale, Jean- Louis Borloo.
Intanto, Chirac, ha ribadito la vocazione europeista della Francia e ha lanciato un messaggio rassicurante agli altri soci dell' Unione europea. Partendo da questo presupposto, "voglio dirvi e dire ai partner europei e a tutti i popoli dell' Europa che la Francia continuerà a occupare il suo posto a pieno titolo e rispetterà gli impegni presi. Ve lo assicuro". L' Ue non è morta e il processo di ratifica della Costituzione continuerà, dopo che nove Paesi hanno già detto sì. "I nostri partner faranno la loro scelta" e nel frattempo "l' Ue continuerà a funzionare sulla base dei trattati vigenti".
Il prossimo appuntamento importante europeo sarà il Consiglio del 16 giugno a Bruxelles e in quell' occasione "difenderò le posizioni del nostro Paese, tenendo conto del messaggio arrivato dai francesi". Però è bene non farsi illusioni: niente sarà più come prima.
Chirac ha avuto una serie di colloqui telefonici con alcuni dirigenti politici europei oltre che con il presidente russo con i quali ha parlato del risultato del referendum sul trattato costituzionale. A Juncker, Barroso, Schroeder, Zapatero e Blair ha assicurato che nonostante la vittoria del "no" la Francia "membro fondatore dell'Unione continuerà a lavorare con i suoi partner nello spirito della costruzione dell'Europa". Il presidente ha anche detto ai suoi interlocutori che il processo di ratifica"deve andare avanti negli altri paesi europei". Chirac ha parlato anche con il presidente russo Vladimir Putin sulle ricadute del referendum, sulle relazioni tra Francia e Russia e su quelle tra Unione europea e Russia.
Il presidente francese teme però le ripercussioni dell'esito del voto. In particolare, la vittoria del no potrebbe assestare il colpo di grazia alla candidatura di Parigi a ospitare le Olimpiadi del 2012.


CARTA UE: CHIRAC DOMANI DECIDE SUL GOVERNO

PARIGI - La Francia si scopre diversa e piu' fragile. Il giorno dopo la vittoria del no, ampia nella dimensione ma soprattutto vasta nell' omogeneita' anche territoriale, l'intera societa' sembra fare fatica a capire che lo strappo e' veramente avvenuto.

L' emergenza e' invece ben palpabile nel mondo politico. Il presidente Jacques Chirac ha annunciato che fara' conoscere domani le sue decisioni sul governo e che in serata le spieghera' in diretta tv ai francesi.

Governo e partiti di maggioranza in fibrillazione cercano di dare tempi rapidi al cambio di marcia che il presidente Jacques Chirac ha indicato come il primo immediato passaggio necessario. Il sacrificio di Jean Pierre Raffarin e' gia' acquisito; le mosse dell' Eliseo sono seguite con attenzione esasperata. Cosa significa l'incontro con Nicolas Sarkozy, piu' di un'ora; e quello con il presidente dell' UDF Francois Bayrou. E perche' vede Dominique de Villepin nel pomeriggio, o perche' rinvia a martedi' ogni decisione.

Sulla scacchiera politica cavalieri e pedoni si incrociano, cercano ognuno una casella vantaggiosa per la prossima mossa. Chirac che ha perso la battaglia e la speranza di un nuovo mandato presidenziale nel 2007 deve difendere l'onore del suo governo e mostrare la capacita' di reagire e di mantenere la rotta. In realta' un compito assai difficile perche' di fronte ai francesi che chiedono sostanzialmente garanzie sociali, tutele, difesa del lavoro e del costoso sistema di welfare cosi' come e' ora, il presidente neogollista si trova stretto dal suo partito che gli chiede scelte politiche piu' liberali; una sorta di quadratura del cerchio che trova conferma anche nelle dichiarazioni del ministro dell'eeconomia Thierry Breton che dice: ora sara' come correre con venti chili appesi alle spalle.

Il volto tirato del presidente rappresenta bene lo stato d'animo di una classe dirigente che e' messa sotto tiro da editorialisti e commentatori; ma soprattutto lui, da 10 anni all'Eliseo, viene disegnato come l'artefice della sconfitta, il vero sconfitto. Deve essere stato difficile per Chirac l'incontro con Sarkozy che aveva annunciato la sua disponibilita' a prendere le proprie responsabilita', ma con la piu' ampia liberta' di giudizio.

Dominique de Villepin sembra chiaramente piu' gradito a Chirac; ex segretario generale dell'Eliseo, de Villepin ha preparato con pazienza la sua scalata, tutta all'ombra del presidente; garantirebbe agli occhi dell'apparato neo gollista una sorta di continuita', un sapiente dosaggio di misure sociali e liberali che costituiscono l'essenza del cosiddetto 'modello francese; Sarkozy invece, che ha chiesto di farla finita con ''l'immobilismo e le frivolezze'' segnerebbe un passaggio piu' liberale.

Sulla scacchiera, piu' defilati si muovono gli altri vinti e vincitori di questa battaglia che tutti ritengono lascera' un segno pesante. Come pesanti sono giudizi e valutazioni sulla situazione del paese che, per Jean Daniel, attraversa ''una delle piu' gravi e profonde crisi di identita' della sua storia'' causata anche, sottolinea Serge July su Liberation con toni inusualmete taglienti, da ''una classe politica portata alla menzogna da molti anni'' da ''incompetenti notori'' come il presidente e da ''cinici temprati'' come Laurent Fabius.

Proprio Fabius esce come uno dei vincitori, come il navigatore esperto a bordo di un'aggregazione di sinistra che piu' che al referendum vinto e ai problemi posti da questa vittoria sembra comunque guardare al 2007. La prova generale questa volta e' andata bene, ora pero' si tratta di aggregare il si' socialista al no di sinistra, o come gia' viene chiamata dell'altra sinistra, e cioe' l'aggregazione di comunisti, radicali, verdi, terzomondisti, socialisti ribelli e gruppuscoli vari, che hanno costituito l'anima del polo del 'non de gauche'.

Sul versante opposto del no di destra il successo potra' aiutare Jean Marie Le Pen a riacquistare il controllo del suo partito, il Fronte nazionale; mentre l'ultraconservatore Philippe de Villier, la vera faccia della destra dura in questo referendum, potra' puntare alla campagna elttorale del 2007 con piu' speranza. E sullo sfondo altri comprimari: Francois Hollande, il segretario socialista sconfitto che dovra' contarsi in un nuovo congresso; Henri Emmanuelli, ex segretario socialista votato al no, elemento importante del pacchetto di mischia; Marie George Buffet segretaria del partito comunista; Francois Bayrou presidente del partito di governo UDF che dovra' frenare la corsa dei suoi verso nuovi posti al governo. E poi ancora Michele Alliot-Marie, il terzo incomodo nel quadro dei possibili candidati alla successione di Raffarin.

Fuori della scacchiera tuttavia la realta' sembra muoversi molto piu' rapidamente, con una societa' che ha deciso di riprendersi in mano le scelte, e come spesso avviene nel paese, in modo brusco e globale. Piu' malessere che scelta politica, sostengono alcuni; un quadro che fa pensare ad altri ad un nuovo '68, questa volta nato dalle urne.


BLAIR, RIFLETTIAMO E PENSIAMO ALL' ECONOMIA

LONDRA -
C' e' chi scrive oggi che Tony Blair ha tirato nella notte un sospiro di sollievo: grazie al No francese con ogni probabilita' non dovra' piu' organizzare il referendum britannico sulla Costituzione nel 2006, una consultazione quasi certamente vittoriosa per i No. Ma la patata bollente della 'ricostruzione' dopo il terremoto francese finira' tutta nelle mani della Gran Bretagna, quando la presidenza britannica dell'Ue iniziera' il primo luglio.

E all'orizzonte, per lui, si profila uno scontro con Parigi, che pensa che l'impianto troppo 'anglosassone' e liberista voluto da Londra abbia condannato la Costituzione in Francia. Parlando dalla Toscana, dove si trova per una breve vacanza, Tony Blair ha detto che e' ''troppo presto'' per dire se il referendum in Gran Bretagna si fara', e ha chiesto un ''periodo di riflessione''. Ma l'opposizione conservatrice gia' ieri sera gli ha chiesto di ''dichiarare morta'' la Costituzione europea.

Il premier ha ripetuto che ''se ci sara' un trattato costituzionale su cui votare, noi faremo il referendum'', ma ha anche ricordato che la questione verra' discussa nel vertice europeo del 16 giugno. ''Cio' che conta ora - ha affermato - e' prendere un momento di riflessione, con il referendum olandese che si tiene tra un paio di giorni e il Consiglio europeo di meta' giugno quando i leader discuteranno le implicazioni del voto nei due paesi''.

Per Blair, ''il problema e' che c'e' un altro dibattito che si sta sviluppando in Europa, che ha a che vedere con il lavoro, la sicurezza economica, con la riforma dei servizi pubblici e dello stato sociale nell'era della globalizzazione, con l'immigrazione illegale, la criminalita' organizzata. Sono problemi che hanno a che vedere con l'economia e la sicurezza, argomenti su cui la gente vuole vedere la leadership dell'Europa''.

Il ministro degli Esteri Jack Straw ha annunciato che si rechera' in Parlamento il 6 giugno a dire cosa il governo intenda fare del referendum. Ma nessuno, a questo punto, prevede che la consultazione si terra' nella prima meta' del 2006.

''Il voto olandese sara' ovviamente significativo'', ha affermato Straw, che ieri sera, a caldo, aveva chiesto ''un momento di riflessione''. Ma persino i politici piu' pro-Ue di tutto l'arco politico affermano che sarebbe ''un'idea incredibilmente sciocca'' fare il referendum, nelle parole dell'esponente conservatore filoeuropeo Kenneth Clarke. Comunque vada, l'euroscettica Gran Bretagna, dal primo luglio, sara' per la prima volta investita della necessita' di trovare una strada per l'Europa dopo il No francese, un compromesso per rilanciare l'Unione e riavvicinarla ai cittadini.

E la vittoria del No in Francia, suggeriscono fonti governative britanniche e diversi commentatori, e' destinata a innescare uno scontro tra Gran Bretagna e Francia, con il governo di Parigi che si potrebbe 'vendicare', bloccando i piani britannici per l'adesione della Turchia e la maggiore liberalizzazione economica dell'Ue: proprio la ricetta 'inglese' cui lo stesso Blair sembra alludere parlando di come affrontare le preoccupazioni della gente. In Francia molti pensano che l'eccessivo allineamento della Carta alle politiche liberiste britanniche sia uno dei motivi per cui la maggioranza dei francesi ha voltato le spalle al Trattato. Jacques Chirac reagirebbe quindi facendo lo sgambetto alle riforme che il ministero del Tesoro britannico intende proporre nell'Ue durante il semestre di presidenza di Londra, a partire dal primo luglio, promuovendo una dura battaglia per il 'modello francese', in particolare contro la liberalizzazione dei servizi - pallino britannico - che tanto ha fatto e fa discutere i transalpini. L'adesione della Turchia (i colloqui dovrebbero iniziare in autunno), poi, e' sempre stata vista con disagio dalla Francia, che teme rigurgiti anti-islamici in casa propria.

Fonti governative britanniche non lasciavano ieri tuttavia prevedere alcun cambiamento nell'agenda britannica: ''Noi sosteniamo fortemente la direttiva Bolkenstein, che e' stata il Frankenstein della campagna referendaria francese'', diceva un alto funzionario. E secondo fonti del Tesoro britannico, Londra sembra pronta alla rotta di collisione con Parigi sulle riforme: ''Noi riusciremo a convincere gli europei di qualsivoglia Paese se vedranno che l'Europa promuove i loro interessi in termini di standard di vita ed occupazione. Siamo convinti di dover raddoppiare i nostri sforzi sulle riforme economiche. Nessuno pensa che dovremmo lasciar perdere o annacquare il programma. Semmai il contrario''.


PIER FERDINANDO CASINI, RIPENSIAMO L' EUROPA

(MONTENEGRO) - Va semplicemente agli atti l'intervento che Pier Ferdinando Casini aveva preparato per la quinta riunione dei vertici parlamentari dell'Iniziativa Adriatica Ionica, in corso a Sveti Stefan, in Montenegro: il presidente della Camera preferisce portare il discorso sul referendum francese che ha bocciato la carta costituzionale europea, e lo fa invitando a non minimizzare quel no e a ''ripensare l'Europa''.

''Sono presidente di un Parlamento che, a larga maggioranza, ha ratificato la Costituzione Europea - ha detto ai colleghi degli altri paesi aderenti all'Iniziativa, Albania, Bosnia,Grecia, Serbia e Montenegro, Croazia, Slovenia - pur considerando che essa e' frutto di un compromesso al ribasso che non ha risvegliato alcun entusiasmo nei cittadini''. Ratificando quel documento, ''A mio parere l'Italia ha fatto la scelta giusta, ma adesso il voto francese va ascoltato.

Non mi piace chi fa finta di niente, chi minimizza, ne' chi ricorre all'euroretorica che ormai non serve piu' all'Europa''. Casini ha scelto non a caso una platea comprensiva di quei paesi ex jugoslavi ''che rappresentano un buco nero restando fuori dall'Ue'', e che sono invece ansiosi di farne parte: ''Stamane in televisione ho sentito i commenti di diversi esponenti europei che minimizzavano il voto francese con commenti del tipo 'continuiamo', 'andiamo avanti comunque'. Ma dobbiamo avere il coraggio di dire ai paesi balcanici 'fermiamoci e ripensiamo l'Europa'. L'euroretorica non serve''.

Il presidente della Camera, accompagnato a Sveti Stefan dall'ambasciatore italiano in Serbia e Montenegro Antonio Zanardi Landi e dal parlamentare di Forza Italia Francesco Stradella, ha sottolineato anche la sua ''preoccupazione per il fiorire nell'area dell'Iniziativa adriatica ionica di tante iniziative che rischiano di essere dispersive'', e che sono focalizzate su questioni pertinenti ai vari governi: ''Noi siamo parlamentari, legislatori, non rappresentanti degli esecutivi. E' giusto che i governi maturino i loro accordi, ma noi dobbiamo legislare: e' attraverso le opportune leggi che si maturano le condizioni perche' arrivino gli investitori, e' il quadro legislativo giuridico, fiscale, di lotta alla criminalita' che puo' dare opportunita' importanti ai paesi dell'area''.

''Si parla di allargamento europeo - ha detto ancora Casini - ma a me non piace questo termine. E' un'espressione che puo' essere valida per paesi come la Turchia, ma per i Balcani, che sono parte integrante dell'Europa, il termine esatto e' riunificazione''.

Il presidente della Camera ha poi illustrato un esempio concreto di azione esportabile nell'ambito dell'Iniziativa Adriatica Ionica: ''I parlamenti italiano e albanese stanno studiando la realizzazione, nell'universita' di Tirana, di un corso di formazione per i funzionari parlamentari. E' un'iniziativa che non solo consentira' una cooperazione piu' immediata fra i nostri due organi istituzionali, ma potra' dare valide opportunita' per la formazione dei futuri quadri dirigenti''.

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