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ITALIA CRONACA


Islam grande civiltà, non spectre
Giuliano Ferrara sul Foglio


Va bene. Prendiamoci in parola. Difendiamo con impassibilità il nostro stile di vita. È la lezione che viene da Londra. È l'ultimo canone politicamente corretto. Lo dice anche la regina. Non si capisce bene però se si tratti di lifestyle, una cosa vicina alla moda e al suo glamour; oppure di way of life, una cosa vicina alla religione costituzionale americana. Se aprissimo un concorso fra i lettori per definire il concetto, le risposte sarebbero diverse. Infatti l'essenza del nostro stile di vita è che ciascuno si fabbrica il suo stile di vita nel rispetto per quello degli altri. Si chiama libertà. Cioè i parlamenti, la libertà di stampa, di parola e di culto, i diritti civili a tutela dei singoli e delle minoranze, le elezioni libere per formare la volontà politica di maggioranza, il mercato, le libertà sindacali, la libera circolazione delle merci e delle persone, il carattere non confessionale della politica.

Però tutto questo bendiddio che protegge la ricerca individuale della felicità non è arrivato gratis. È costato guerre calde e fredde, rivoluzioni violente e di velluto. La libertà nel mondo è universale quanto ai principi, particolare quanto alla realtà; ha cioè dei confini, qui c'è e di là non c'è. Nel Novecento questo modo o stile di vita fu messo in discussione dai fascismi e dai comunismi. Nel secolo appena cominciato è messo in discussione dall'Islam, parola che significa sottomissione e che allude a una trascendenza imperiosa, ultimativa, legalistica, intollerante della libertà umana.

Chi nega questo dato di fatto, chi enfatizza il pluralismo nell'Islam, il moderatismo della maggioranza e il presunto carattere minoritario del suo Drang nach Westen, della sua spinta esistenziale che' cozza con la vita occidentale, è semplicemente un cieco o un cretino. Tony Blair sabato ha dichiarato che non ci possiamo limitare a combattere i metodi dei terroristi, dobbiamo anche affrontare le loro idee, la loro visione del mondo, che è "evil", male.

In realtà noi abbiamo quella cosa un po' frivola che è la visione del mondo, spesso molto cinematografica, loro hanno una religione. Quella religione, con le sue inaudite e tremende meraviglie, con le sue bellezze profetiche, con la sua poesia e la sua architettura, con il suo spirito guerriero, con i venti del suo deserto, il suo nomadismo, il suo comunitarismo, le sue scuole di spiritualità e di morte, i suoi fondamenti morali senza appello, senza frammentazione, senza dialettica né dialogo, suscita in me, ateo devoto, una non compunta ma sincera ammirazione.

I tutori del multiculturalismo inorridiscono di fronte al divieto di suonare musica, di fronte all'iconoclastia che fucila le statue del Buddha, di fronte alla donna che si nasconde e si vela, di fronte ai processi coranici e alle decapitazioni, di fronte al martirio di massa in atto, di fronte a una legge scritta direttamente da Dio e trasmessa una volta per tutte da un profeta, valida per tutti compresi gli infedeli pena l'annientamento; i tutori del multiculturalismo sono moderni, addirittura postmoderni, e spesso anche moralisti, laicisti, dunque inorridiscono per questa visione del mondo fondata sul divino. Ce l'hanno con i teocon, e che cosa c'è di più teocon dell'Islam? Inorridiscono, ma accolgono. Pensano che l'occidente negherebbe se stesso e diverrebbe simile all'Islam che li fa inorridire se non trovasse una via per la convivenza e per una contaminazione culturale con quella religione e con i suoi fondamenti.

Sono visceralmente antireligiosi e dunque antislamici perché negano che la politica abbia anche radici extrapolitiche, che la nostra cultura sia figlia di concetti teologici secolarizzati, che si debba vivere come se Dio esistesse, che la natura abbia qualche diritto di fronte al potere della scienza e della tecnica, insomma rigettano precisamente la soluzione americana, del paese che integra e omologa nel segno di una religione civile; e per questa stessa ragione, per vivere escludendo rigorosamente Dio e la religione, i multiculturalisti europei si sottomettono al Dio degli altri, garanzia del politeismo dei valori. Sono costretti a negare l'orrore che provano dentro, arrivano a sospettare che i quattro shahid di Londra fossero ignari e telecomandati, che il cervello gli fosse stato "lavato" dai cattivi, si consolano così.
Pensano, altra consolazione, che la colpa sia nostra, della guerra in Iraq o di altre cause storiche e sociali. Il loro problema è che soltanto negando l'attualità evidente di uno scontro di civiltà e di una guerra a sfondo religioso è possibile evitare di interrogarsi sul senso, sul significato della nostra civiltà, che diventa appunto lifestyle, leggerezza, abbandono, libertà distaccata di netto dalle sue radici.Io invece non inorridisco.

Vedo in quel modo di vita, in quei comportamenti islamici ispirati a un credo intensamente vissuto, radici ultramillenarie, antiche, una delle manifestazioni definitive del crollo dell'occidente e dell'oriente grecizzati e romanizzati: Sento perfino il fascino dell'Islam, del suo percorso nella storia e nello spirito umano, della sua funzione levatrice della nostra più grande cultura teologica e filosofica medievale. Per questo voglio riconoscerlo e respingerlo, perché è una civiltà e non una spectre terrorista, perché oggi è una sfida
demografica, politica, ideologica e religiosa alla mia civiltà.
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