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Lecco, ora si cerca la pistola la Luger che uccise il benzinaio
LECCO - 13.12.04 - La pistola Luger che la sera del 25 novembre uccise il benzinaio Giuseppe Enrico Maver a Lecco, sarà cercata dai sommozzatori nelle acque lecchesi.
Qui l' ha molto probabilmente gettata il 18enne Davide Ciancaleoni, il giovane reo confesso che ha ucciso il benzinaio sparandogli un colpo di pistola al cuore dopo che l'anziano uomo aveva reagito al tentativo di rapina messo in atto da Davide con la complicità di Domenico E., 17enne di Malgrate (Lc), pure lui reo confesso.

I due giovani dopo il tragico assalto al distributore Tamoil fuggirono con uno scooter, si sbarazzarono dell'arma e andarono a mangiare in una pizzeria della zona. Il più giovane dei due, forse avvertendo la pressione delle Forze dell' Ordine, dopo tre settimane ha deciso di costituirsi facendosi accompagnare dal suo avvocato Vito Zotti e dalla mamma al Comando Provinciale del Carabinieri. E qui ha confessato le sue responsabilità.

Qualche ora dopo i militari hanno prelevato il complice, ora difeso dall'avvocato Luciano Bova. I due giovani nei giorni successivi il delitto hanno continuato a frequentarsi anche in alcuni bar di Lecco cercando sempre di evitare l' argomento. Ora il loro destino giudiziario si divide: Davide, rinchiuso al "Bassone" di Como, dovrà rispondere di omicidio volontario aggravato e di tentata rapina al sostituto Paola Dal Monte della Procura di Lecco, mentre Domenico si trova al "Beccaria" di Milano e, con le stesse accuse, di lui se ne occuperà la Procura minorile. Secondo le confessioni, la pistola sarebbe stata comperata per pochi soldi insieme a tre proiettili da un extracomunitario a Milano.

Disperata la Mamma di Davide: "Non posso far altro che chiedere umilmente e con il cuore a pezzi perdono ai familiari del benzinaio". La donna ammette di avvertire "un senso di rimorso perché avevo notato che negli ultimi giorni mio figlio si comportava in maniera strana ma mai avrei immaginato che fosse lui l'assassino di quel povero uomo". La famiglia Ciancaleoni è arrivata da pochi mesi in via Petrarca, nel popoloso quartiere di Santo Stefano a Lecco.
Originaria della Calabria, i residenti del quartiere dicono di conoscerla a malapena. Ma nei pochi mesi di permanenza a Lecco, Davide era già riuscito ad inserirsi negli ambienti della microcriminalità locale e solo poche settimane fa era finito nei guai per spaccio di hashish davanti a una scuola cittadina. In quell' occasione fu fotosegnalato dalla Polizia che prese anche le sue impronte digitali: le stesse individuate dal Ris di Parma sul caricatore della pistola che i Carabinieri rinvennero, insieme ad un bossolo, sul luogo del delitto. Ma già attraverso le descrizioni fornite dalla vedova Maver, gli elementi forniti dal pollivendolo che per primo accorse a soccorrere il benzinaio, dalle scarne immagini ricavate dalla telecamera di sorveglianza posta all'esterno di un mobilificio situato nei pressi del distributore, gli investigatori già la scorsa settimana avevano puntato l'attenzione sui due giovani.

Domenico, fino a poco tempo fa abitava in centro Lecco con la famiglia, poi trasferitasi nel vicino paese di Malgrate. Appassionato di Trial, poco tempo fa rimase coinvolto in un incidente di moto che gli costò oltre due mesi in ospedale.


IL TEMPO, a volte, è galantuomo in tempi brevissimi. A uccidere Giuseppe Maver, il povero benzinaio di Lecco freddato per pochi spiccioli, non sono stati feroci immigrati né camorristi in trasferta. Se volessimo adottare lo stesso, gretto criterio etnico ahimè troppe volte udito negli ultimi anni, dovremmo dire che sono stati "due ragazzi del Nord", nati e cresciuti a pochi chilometri da quella pompa di benzina. Per mantenere un minimo di decenza intellettuale, e di rispetto per il dolore, non lo diciamo. Diciamo che sono stati due giovanissimi disgraziati del posto, identici a tanti altri sbandati di ogni latitudine e di ogni epoca, alla ricerca di quattrini facili. Un diciottenne e un diciassettenne, che si sono rovinati la vita e soprattutto l' hanno tolta a una persona onesta e innocente, uno dei tanti italiani che associano l' idea del denaro a quella del lavoro, della fatica e del rispetto.

Ora quella famosa frase del ministro Calderoli, "guai a chi tocca un lombardo", andrebbe magari estesa, per renderla meno detestabile, anche a questi due sciagurati, omicidi per insipienza, uno dei quali, dopo il delitto, è tornato a casa a giocare a play-station, forse per sognarsi altrove. Persone così giovani, e così compromesse, che non dovrebbe essere difficile, nei loro confronti, mutare il disprezzo e l' impulso di vendetta nella severità senza odio che una società ricca dovrebbe pur consentirsi, sempre che il benessere non serva solo a moltiplicare i Bancomat e blindare la porta di casa.

Quanto alla famosa "taglia" emessa dallo stesso Calderoli, non si sa a quale titolo, adesso il ministro la rivendica come "provocazione" utile ad accelerare le indagini. Ognuno si accontenta di quel che può e di quel che sa. I fatti dicono che la cosiddetta "linea Pisanu" (che dovrebbero essere, poi, la normalissima via della legge, quando la legge funziona) ha portato in breve tempo a identificare i due maldestri assassini, smontando un "caso" che aveva assunto i toni pazzeschi della profanazione razziale e territoriale ("non si toccano i lombardi") e che è servito, visti gli esiti, se non altro a smontare i pregiudizi e l' aggressività di chi colloca "il male" sempre e solo fuori da sé, altrove, lontano, come un' infezione aliena.

Parole di saggezza sono venute dal vescovo del luogo (lombardo? Varrà anche per il clero, questo sciocco e pericoloso gioco razzista?), che ha ricollocato "il male" laddove il male abita, cioè un po' ovunque, e ovviamente anche nel Nord che i suoi mali, dai serial-killer ai terroristi alla criminalità economica ai disonesti "normali", dovrebbe saperli riconoscere, a meno di distruggere tutti gli specchi della pianura padana. Non ci si ricorda più come e quando sia cominciata questa penosissima deriva sub-provinciale, xenofoba e claustrofobica, che ha introdotto violentemente nel paesaggio psicologico e politico del nostro Paese categorie etniche prima solo vagamente presenti nel folklore, nei costumi, o nello scherzo di campanile. E oggi divenute consolidati discrimini, archetipi di mai udite identità "nazionali", e soprattutto pretesti metodici per scaricare ogni colpa, ogni sospetto, ogni veleno sulle spalle dell'"altro", dell' invasore, del profittatore venuto da fuori le mura, del subdolo "mondialismo" che infetta la purezza nativa.

Questa tristissima vicenda, al di là del dolore per chi è morto così ingiustamente, e della desolazione per il destino dei due assassini e delle loro sfortunate famiglie, dovrebbe insegnare prudenza e tolleranza a chi soffia sul fuoco del conflitto territoriale. E magari, essendo il ministro Pisanu membro autorevole di questo governo e di questo Stato, dovrebbe suggerire toni molto differenti al nostro premier quando comizia - come ha fatto l'altro giorno in Veneto - contro lo Stato oppressore dei cittadini. (Incredibile spettacolo, uno statista che svillaneggia il suo datore di lavoro). Ma è bene restare pessimisti: neanche questa vicenda, pur così eloquente, servirà a molto. Uno dei due rapinatori, pur essendo nato e cresciuto in piena Padania, è di origini calabresi. E tanto basta, vedrete, perché la convinzione perniciosa che il male sia roba di importazione rimanga ben radicata nell'animo di chi l' ha voluta e saputa diffondere, come un veleno.