Qui
l' ha molto probabilmente gettata il 18enne Davide Ciancaleoni,
il giovane reo confesso che ha ucciso il benzinaio sparandogli un
colpo di pistola al cuore dopo che l'anziano uomo aveva reagito
al tentativo di rapina messo in atto da Davide con la complicità
di Domenico E., 17enne di Malgrate (Lc), pure lui reo confesso.
I due
giovani dopo il tragico assalto al distributore Tamoil fuggirono
con uno scooter, si sbarazzarono dell'arma e andarono a mangiare
in una pizzeria della zona. Il più giovane dei due, forse
avvertendo la pressione delle Forze dell' Ordine, dopo tre settimane
ha deciso di costituirsi facendosi accompagnare dal suo avvocato
Vito Zotti e dalla mamma al Comando Provinciale del Carabinieri.
E qui ha confessato le sue responsabilità.
Qualche
ora dopo i militari hanno prelevato il complice, ora difeso dall'avvocato
Luciano Bova. I due giovani nei giorni successivi il delitto hanno
continuato a frequentarsi anche in alcuni bar di Lecco cercando
sempre di evitare l' argomento. Ora il loro destino giudiziario
si divide: Davide, rinchiuso al "Bassone" di Como, dovrà
rispondere di omicidio volontario aggravato e di tentata rapina
al sostituto Paola Dal Monte della Procura di Lecco, mentre Domenico
si trova al "Beccaria" di Milano e, con le stesse accuse,
di lui se ne occuperà la Procura minorile. Secondo le confessioni,
la pistola sarebbe stata comperata per pochi soldi insieme a tre
proiettili da un extracomunitario a Milano.
Disperata
la Mamma di Davide: "Non posso far altro che chiedere umilmente
e con il cuore a pezzi perdono ai familiari del benzinaio".
La donna ammette di avvertire "un senso di rimorso perché
avevo notato che negli ultimi giorni mio figlio si comportava
in maniera strana ma mai avrei immaginato che fosse lui l'assassino
di quel povero uomo". La famiglia Ciancaleoni è arrivata
da pochi mesi in via Petrarca, nel popoloso quartiere di Santo
Stefano a Lecco.
Originaria della Calabria, i residenti del quartiere dicono di
conoscerla a malapena. Ma nei pochi mesi di permanenza a Lecco,
Davide era già riuscito ad inserirsi negli ambienti della
microcriminalità locale e solo poche settimane fa era finito
nei guai per spaccio di hashish davanti a una scuola cittadina.
In quell' occasione fu fotosegnalato dalla Polizia che prese anche
le sue impronte digitali: le stesse individuate dal Ris di Parma
sul caricatore della pistola che i Carabinieri rinvennero, insieme
ad un bossolo, sul luogo del delitto. Ma già attraverso
le descrizioni fornite dalla vedova Maver, gli elementi forniti
dal pollivendolo che per primo accorse a soccorrere il benzinaio,
dalle scarne immagini ricavate dalla telecamera di sorveglianza
posta all'esterno di un mobilificio situato nei pressi del distributore,
gli investigatori già la scorsa settimana avevano puntato
l'attenzione sui due giovani.
Domenico,
fino a poco tempo fa abitava in centro Lecco con la famiglia,
poi trasferitasi nel vicino paese di Malgrate. Appassionato di
Trial, poco tempo fa rimase coinvolto in un incidente di moto
che gli costò oltre due mesi in ospedale.
IL
TEMPO, a volte, è galantuomo in tempi brevissimi. A uccidere
Giuseppe Maver, il povero benzinaio di Lecco freddato per pochi
spiccioli, non sono stati feroci immigrati né camorristi
in trasferta. Se volessimo adottare lo stesso, gretto criterio
etnico ahimè troppe volte udito negli ultimi anni, dovremmo
dire che sono stati "due ragazzi del Nord", nati e cresciuti
a pochi chilometri da quella pompa di benzina. Per mantenere un
minimo di decenza intellettuale, e di rispetto per il dolore,
non lo diciamo. Diciamo che sono stati due giovanissimi disgraziati
del posto, identici a tanti altri sbandati di ogni latitudine
e di ogni epoca, alla ricerca di quattrini facili. Un diciottenne
e un diciassettenne, che si sono rovinati la vita e soprattutto
l' hanno tolta a una persona onesta e innocente, uno dei tanti
italiani che associano l' idea del denaro a quella del lavoro,
della fatica e del rispetto.
Ora
quella famosa frase del ministro Calderoli, "guai a chi tocca
un lombardo", andrebbe magari estesa, per renderla meno detestabile,
anche a questi due sciagurati, omicidi per insipienza, uno dei
quali, dopo il delitto, è tornato a casa a giocare a play-station,
forse per sognarsi altrove. Persone così giovani, e così
compromesse, che non dovrebbe essere difficile, nei loro confronti,
mutare il disprezzo e l' impulso di vendetta nella severità
senza odio che una società ricca dovrebbe pur consentirsi,
sempre che il benessere non serva solo a moltiplicare i Bancomat
e blindare la porta di casa.
Quanto
alla famosa "taglia" emessa dallo stesso Calderoli,
non si sa a quale titolo, adesso il ministro la rivendica come
"provocazione" utile ad accelerare le indagini. Ognuno
si accontenta di quel che può e di quel che sa. I fatti
dicono che la cosiddetta "linea Pisanu" (che dovrebbero
essere, poi, la normalissima via della legge, quando la legge
funziona) ha portato in breve tempo a identificare i due maldestri
assassini, smontando un "caso" che aveva assunto i toni
pazzeschi della profanazione razziale e territoriale ("non
si toccano i lombardi") e che è servito, visti gli
esiti, se non altro a smontare i pregiudizi e l' aggressività
di chi colloca "il male" sempre e solo fuori da sé,
altrove, lontano, come un' infezione aliena.
Parole
di saggezza sono venute dal vescovo del luogo (lombardo? Varrà
anche per il clero, questo sciocco e pericoloso gioco razzista?),
che ha ricollocato "il male" laddove il male abita,
cioè un po' ovunque, e ovviamente anche nel Nord che i
suoi mali, dai serial-killer ai terroristi alla criminalità
economica ai disonesti "normali", dovrebbe saperli riconoscere,
a meno di distruggere tutti gli specchi della pianura padana.
Non ci si ricorda più come e quando sia cominciata questa
penosissima deriva sub-provinciale, xenofoba e claustrofobica,
che ha introdotto violentemente nel paesaggio psicologico e politico
del nostro Paese categorie etniche prima solo vagamente presenti
nel folklore, nei costumi, o nello scherzo di campanile. E oggi
divenute consolidati discrimini, archetipi di mai udite identità
"nazionali", e soprattutto pretesti metodici per scaricare
ogni colpa, ogni sospetto, ogni veleno sulle spalle dell'"altro",
dell' invasore, del profittatore venuto da fuori le mura, del
subdolo "mondialismo" che infetta la purezza nativa.
Questa
tristissima vicenda, al di là del dolore per chi è
morto così ingiustamente, e della desolazione per il destino
dei due assassini e delle loro sfortunate famiglie, dovrebbe insegnare
prudenza e tolleranza a chi soffia sul fuoco del conflitto territoriale.
E magari, essendo il ministro Pisanu membro autorevole di questo
governo e di questo Stato, dovrebbe suggerire toni molto differenti
al nostro premier quando comizia - come ha fatto l'altro giorno
in Veneto - contro lo Stato oppressore dei cittadini. (Incredibile
spettacolo, uno statista che svillaneggia il suo datore di lavoro).
Ma è bene restare pessimisti: neanche questa vicenda, pur
così eloquente, servirà a molto. Uno dei due rapinatori,
pur essendo nato e cresciuto in piena Padania, è di origini
calabresi. E tanto basta, vedrete, perché la convinzione
perniciosa che il male sia roba di importazione rimanga ben radicata
nell'animo di chi l' ha voluta e saputa diffondere, come un veleno.
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