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ITALIA CRONACA


PROSTITUZIONE, COMUNE DI PERUGIA RISARCITO PER DANNO IMMAGINE

PERUGIA - Al termine di un processo in Corte d' assise, ieri sera, nel capoluogo umbro, i giudici hanno non solo riconosciuto, ma anche - per la prima volta - quantificato il danno (in 8 mila euro), stabilendo che il comune di Perugia dovra' essere risarcito da una donna nigeriana, condannata per sfruttamento della prostituzione, riduzione in schiavitu', tratta di donne e favoreggiamento dell' immigrazione clandestina.

Il Comune si era infatti costituito parte civile nell' ambito di un progetto dell' assessorato alle politiche sociali denominato Free Women, di cui beneficiano le vittime di reati quali violenza, sfruttamento della prostituzione, tratta di straniere, immigrazione illegale.

Gia' in passato l' ente - primo Comune in Italia, dopo la Provincia di Lecce - si era costituito parte civile in altri procedimenti penali contro lo sfruttamento della prostituzione: poco piu' di un anno fa due sentenze di condanna al termine di processi con il rito abbreviato avevano gia' riconosciuto il danno, anche all' immagine, ma rimesso al giudice civile la sua quantificazione. Un' altra sentenza, confermata in appello venerdi' scorso, condannando un macedone per un tentativo di sfruttamento della prostituzione, ha invece quantificato il danno (in 2.500 euro) a favore del Comune, ma soltanto per le spese relative all' assistenza della vittima, nell' ambito dello stesso progetto Free Women.

La sentenza di ieri, di primo grado, di fronte all' assise, per la prima volta in Italia (secondo gli avvocati Antonietta Confalonieri ed Alessandra Donatelli Castaldo, consulenti legali del progetto Free Women) ha riconosciuto e quantificato il danno all' immagine, prevedendo una liquidazione completa immediatamente esecutiva.

L' ente - hanno spiegato i due legali - ''e' stato, in questo campo, precursore di alcune misure poi realizzate dal legislatore: tra queste, la creazione di uno speciale programma di assistenza, anche giuridica, per le vittime dello sfruttamento, e l' istituzione di un fondo a loro favore''.

La vicenda in questione era cominciata nella primavera del 2001, quando alcune ragazze nigeriane erano giunte a Perugia, attraverso la Spagna, dopo un ''viaggio della speranza'' in gommone, nel corso del quale altri loro connazionali erano morti. Nella citta' umbra - secondo l' accusa - erano state poste sotto la custodia di un' altra nigeriana, oggi trentenne, che le aveva costrette a prostituirsi sotto la minaccia dei riti woodo. Nel luglio dello stesso anno, dopo una retata della polizia, due di queste ragazze avevano chiesto aiuto e avevano presentato una denuncia contro la loro connazionale, che era stata poi arrestata nell' ambito di un' operazione della squadra mobile della questura perugina. Successivamente una terza ragazza si era rivolta al comando provinciale di Perugia dei carabinieri, denunciando di essere stata costretta alla prostituzione anche durante la gravidanza (fino al quinto mese) e subito dopo. Il processo di ieri e' frutto di queste due inchieste, che sono state riunite.

I giudici hanno condannato la donna a cinque anni di reclusione. ''Questa sentenza - ha commentato, fra l' altro, l' avv. Confalonieri - e' il frutto di un lungo periodo di lavoro cominciato con l' assessore comunale Wladimiro Boccali. Ha trovato un riconoscimento - ha aggiunto il legale - il tentativo del Comune di Perugia di attuare il suo dovere di tutela degli interessi della collettivita', e di tutelare, contemporaneamente, le vittime di queste tragiche vicende, garantendo la loro piena acquisizione di diritti e trasformandole da vittime in cittadine. Il Comune ha quindi partecipato al processo penale, garantendo la difesa delle ragazze, rappresentando la citta' e tutelando gli interessi dei cittadini''.
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