Spari
a rapinatori: rischi il carcere
Pm chiede condanna per orefici
Mattias Mainiero su Libero di mercoledì
15 giugno 2005
Giuseppe
e Rocco Maiocchi, 54 e 28 anni, padre e figlio, gioiellieri.
Sicuramente li ricorderete: poco più di un anno fa, 13
aprile del 2004, spararono per difendere il loro negozio di
via Ripamonti, a Milano. Un montenegrino, Mihailo Markovic,
21 anni, assieme ad un complice aveva spaccato la vetrina e
stava rubando alcuni orologi. Loro uscirono e fecero fuoco.
Esagerarono? Oggi è facile dire: sì, andarono
al di là della reazione lecita. Ma erano stati assaltati,
gli orologi avevano preso il largo e il montenegrino e il complice
potevano essere armati. Spararono, con le loro pistole regolarmente
detenute. Il padre, Giuseppe Maiocchi, fece cilecca: tre colpi,
nessuno a segno, forse neppure prese la mira. Possiamo ipotizzare
che la sua intenzione era solo quella di far scappare i ladri?
Nessuno ce lo vieta; e nessuno riuscirà mai a dimostrare
il contrario. Colpi a casaccio. Dalla pistola di Rocco partì
invece la pallottola che raggiunse il montenegrino e lo ferì
mortalmente. Ieri, il Pm di Milano Roberto Brera ha chiuso le
indagini e ha chiesto il rinvio a giudizio. Ovvio, c'è
un morto, non poteva che finire così. Ovvio fino ad un
certo punto: l'accusa è di omicidio volontario. In pratica:
i due gioiellieri rischiano da un minimo di 21 anni di reclusione
all'ergastolo.
Giuseppe e Rocco Maiocchi, da ieri, sono di fatto due criminali,
più o meno due camorristi o due mafiosi, delinquenti
incalliti. La speranza (e l'augurio), ovviamente, è che
siano assolti. Intanto, devono difendersi, non dall'accusa di
omicidio colposo (da 6 mesi a 5 anni), non da quella di omicidio
preterintenzionale (da 10 a 28 anni). Proprio da quella di omicidio
volontario, la più grave e infamante, quella che dice:
i due gioiellieri sono usciti dal negozio con l'intenzione di
far fuori il montenegrino. Perché sono violenti, sono
assassini, non hanno scrupoli. C'è bisogno di commentare,
di ricordare la Milano degli assalti ai negozianti e dei malviventi
che sparano e ammazzano, i commercianti esasperati? Due soli
particolari. Primo particolare: i due gioiellieri avevano già
subito due rapine e un tentativo di rapina. Alla quarta volta
hanno fatto fuoco. Secondo particolare: dopo la sparatoria,
in via Ripamonti i primi ad accorrere furono gli agenti di polizia,
benchè di fronte al negozio ci sia una stazione dei carabinieri.
Strani scherzetti di quella che gli esperti chiamano "divisione
del controllo a zone".
Nessun commento, rischieremmo di ripeterci e di dire quello
che tanti di voi conoscono a memoria. Piuttosto, ricordiamoci
di Varese, Besano, per la precisione, non un anno fa ma sabato
sera. E naturalmente di Claudio Meggiorin, 23 anni, barista,
disarmato. Lui non lo possono rinviare a giudizio, non più:
due albanesi, uno dei quali clandestino, lo hanno accoltellato
al cuore. Claudio Meggiorin era intervenuto per sedare una rissa.
Tutto qui. Ora è all'altro mondo. Ipotesi, se volete
provocatoria: e se Claudio avesse avuto una pistola e avesse
fatto fuoco verso l'alto sarebbe finita così? Probabilmente
no. A quest'ora starebbe facendo il barista e i due albanesi
starebbero litigando e accoltellandosi da qualche altra parte.
Ripetiamo: ipotesi provocatoria, e anche chiaramente irrealizzabile,
perché in Italia le pistole si possono detenere legalmente.
Basta chiedere il relativo porto d'armi, spiegando che si fa
il commerciante, che c'è il rischio di rapine e che bisogna
difendersi. Le autorità competenti diranno: va bene,
compra pure la pistola, che di fatto non si può usare,
a meno che non si voglia finire sul banco degli imputati o in
una gabbia come Totò Riina. Strano Paese, vero? Domanda:
perché i legislatori non riscoprono la coerenza e scrivono
una norma del tipo: chi è in possesso di regolare porto
d'armi può detenere solo pistole giocattolo perché
altrimenti sparerebbe sul serio e si difenderebbe?
Paese strano, indecifrabile e talvolta anche un po' ridicolo:
piange e si arrabbia ai funerali dei gioiellieri uccisi dai
rapinatori, e manda sotto processo i gioiellieri che si difendono
dai rapitori. Paese schizofrenico, nel quale due signori albanesi,
genitori del diciassettenne arrestato per l'omicidio di Claudio
Meggiorin, parlano con i giornalisti e dicono: "Se qualcuno
dovesse pensare a farsi giustizia da solo sarebbe davvero la
cosa peggiore. Conosciamo purtroppo anche i nostri connazionali,
i peggiori di loro non starebbero con le mani in mano e si vendicherebbero
immediatamente". Cose che capitano, in un Paese in cui,
secondo alcuni, Giuseppe e Rocco Maiocchi avrebbero fatto bene
a farsi rapinare. Senza reagire. Perché da noi comandano
i codici e le assurdità, e talvolta pure i malviventi,
comunitari ed extracomunitari, che alzano la voce spaccano vetrine,
rubano orologi e gioielli e la fanno franca.
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