Il
17 febbraio 1965 aprì a Roma il locale che cambiò
la storia.
Presenti all' inaugurazione i Rokes di Shapiro e l' equipe 84
I 40 anni del "Piper"
un' astronave piena di musica
Gli Who sul Palco del Piper
ROMA
- Per i ventenni di allora, scendere quella rampa di scale era
come entrare in una meravigliosa astronave piena di luci e di
suoni, atterrata ai Parioli da chissà quale pianeta lontano.
Fuori, lungo via Tagliamento, c' era l' eclettismo liberty del
quartiere Coppedè, i palazzi con i mascheroni e le cariatidi,
le citazioni barocche di Piazza Mincio; ma lì, nell' astronave,
Roma aveva fatto spazio a un mondo alla rovescia: un' esplosione
di arredi di plastica, di tubi e di luci al neon, di gigantografie
con sorrisi e sguardi quattro metri per quattro. C'erano due grandi
quadri di Mario Schifano e di Tano Festa proprio sul palco e,
lì accanto, campeggiava una scultura di ferro e plastica
nello stile della pop art. Il Piper aprì il 17 febbraio
1965. Quarant'anni fa.
Era splendido e, per i canoni dell' epoca, enorme: non si era
mai visto niente di simile. Non solo a Roma.
In quella sala che secondo i progetti avrebbe dovuto ospitare
un cinema, erano confluite per una strana coincidenza di fattori
tutte le energie creative che il mondo stava producendo in quegli
anni. C' era la musica beat, esplodeva lo shake, dominava l' architettura
e il design pop.
Per
fondare il Piper si erano incontrati in tre: c' era un commerciante
di automobili, Giancarlo Bornigia, un importatore di
carni, Alessandro Diotallevi, e un avvocato, Alberico
Crocetta, che a quindici anni aveva vissuto un' esperienza
da volontario nella X Mas di Valerio Borghese. Crocetta, che
ora aveva 37 anni, era appena tornato dall' America dove si
era innamorato del ballo, della musica dei Byrds e dove aveva
guardato con simpatia a quei capelloni che ballavano il rhythm'n'blues
nei locali di Harlem con la camicia fuori dei pantaloni.
Divenne
lui il direttore artistico del Piper, selezionò personalmente
i gruppi che avrebbero dovuto esibirsi sul palco, due per sera.
A cominciare da quelli per la serata dell' inaugurazione, i
Rokes di "Un'anima pura" con Shel
Shapiro e l' Equipe 84. Chiamò un "tecnico"
(prima Franco Patrignani, poi Beppe Farnetti) perché
si occupasse delle luci e, non appena il gruppo avesse finito
di suonare, anche di mettere su i dischi per far ballare i ragazzi
nella pista piena di pedane luminose e cubi.
Mentre
dai balconi del secondo livello gli altri stavano a guardare,
imitando look e nuovi passi. Fuori, in città, si ballavano
ancora i balli di coppia, in certi night club un po' tristi,
ormai. Qui, tra quelli che chiamavano capelloni e ye-ye, tra
le ragazze che scorciavano alla coscia le gonne lunghe indossate
a casa, ognuno ballava per conto suo; e i benpensanti, i borghesi,
cominciarono a dire che i giovani d'oggi erano proprio degli
asessuati. Tutto il contrario, in realtà.
Tra
i primi a frequentare il Piper c' era una ragazza veneziana,
bionda, minuta e molto carina. Si chiamava Nicoletta Strambelli
e nel suo destino era scritto che sarebbe diventata "la
ragazza del Piper". Arrivò un giorno con un vestito
di Pucci che aveva rubato dal guardaroba della madre. "Avevo
quindici anni, avevo finito i miei otto anni di Conservatorio
e chiesi a mia nonna di andare in Inghilterra ma non sono neanche
entrata al college perché a Piccadilly incontrai un gruppo
di amici veneziani impazziti per le voci sul Piper.
"Ma
come, arrivo a Londra e mi volete riportare a Roma?" gli
dissi. Mi ritrovai su un Wolkswagen maggiolino in viaggio verso
il Piper. Un amico di Padova mi presentò a Crocetta che
mi disse: "Ma lei sa cantare come sa ballare?". E
io, con la spavalderia dei 15 anni, "ma certo!". Quella
sera c' erano Arbore, Boncompagni e Luigi Tenco
che fu quello che poi mi convinse. Da allora non mi sono più
fermata". Perché proprio lei? "Non so, sono
vibrazioni che si trasmettono, tutto sommato però hanno
trovato bene e dovrebbero riconoscermi il copyright di "ragazza
del Piper". A proposito dell' accusa che ci rivolgevano
di essere asessuati, direi che oggi è così, non
certo allora che non avevamo alcun bisogno di impasticcarci".
Vestiva
solitamente con le gonne cortissime del Piper Market, camice
con un solo bottone, andava sempre a piedi scalzi. Venne il
successo di "Ragazzo triste", una canzone nata in
macchina con Gianni Boncompagni. "Mi fece ascoltare un
brano di Sonny Bono e mi disse, cosa canteresti su questo motivo:
gli dissi beh di un ragazzo, e lui: "di un ragazzo triste".
No, perché triste? Devo dire che aveva ragione lui".
Crocetta indovinò, Boncompagni perfezionò.
Ma
Crocetta non fece da solo il successo del Piper: grazie a Bornigia
attivò tutti i possibili canali pubblicitari, sollecitando
specialmente le portinerie degli alberghi più importanti,
quelli frequentati dal jet set. E fece circolare il nome del
locale nel mondo dello spettacolo. Soprattutto alzò le
antenne verso ciò che accadeva in America e in Inghilterra.
Per questo coinvolse un ragazzo ventunenne che non aveva conosciuto
il padre e portava il cognome della madre, una donna a servizio
in una ricca casa dei Parioli.
Alberto
Marozzi aveva studiato l' inglese, aveva la fissa per il
rock e le vacanze invece che al mare le passava da sempre a
Londra. Divenne il factotum del Piper. Oggi ha sessant' anni
e lavora come programmista-regista alla Rai: "Al Piper
andavo tutte le sere e i pomeriggi, appena potevo. Al 'tecnico'
glielo diedi io il primo disco dei Beatles comprato a Londra.
Avevo il tesserino della membership che era un vero status symbol.
Lavoravo in fabbrica ma Crocetta sapeva che il mio mese di ferie
lo passavo sempre a Londra: così mi chiese di cominciare
a lavorare per lui e di contattare le agenzie degli artisti.
Gli proposi i Ten years after, i Move. A Roma
frequentavo Mal dei Primitives, Thane Russel.
E appena potevo andavo sui set cinematografici, per fare pubblicità
al locale: un giorno convinsi Brigitte Bardot e Gunter
Sachs, un altro Marlon Brando con Tarita,
ma Brando venne circondato dai fan per gli autografi e fuggì
subito dal locale. Portai io Mita Medici, Marina Marfoglia,
molte delle ragazze che sarebbero diventate le collettone di
Rita Pavone".
In
pochi mesi il nome del Piper si diffuse in tutto il mondo. Gli
artisti di passaggio a Roma chiedevano di visitarlo. I Beatles
vennero dopo il concerto che avevano appena tenuto al teatro
Brancaccio. Venne Ringo Starr, convinto da Marozzi, "e
una volta, forse era il '66" racconta, "eravamo nella
cabina del tecnico ed entrò Frank Zappa per godersi
lo spettacolo dall' alto".
Il
sogno del Piper bruciò in tre anni: aveva ospitato i
concerti dei Pink Floyd, dei Genesis, di Ike
and Tina Turner, Sly and the Family Stone, Louis
Armstrong, Duke Ellington, gli Who, i Small
Faces, i Procol Harum. Tra il '69 e il '70 il Piper
venne trasformato in discoteca, solo raramente veniva aperto
ai concerti, il motivo per il quale era nato. Cominciava una
nuova stagione, completamente diversa, che sarebbe andata incontro
alla febbre del sabato sera.
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