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ITALIA ECONOMIA


ECONOMIA

Un paio d’anni fa il premio Nobel per l'economia Lester Thurow l’aveva detto: “oggi chi forse meglio di altri ha capito davvero dove va il mondo sono i cinesi”. La stessa considerazione la si può applicare anche all’India, che ha ormai raggiunto un ruolo di primo piano sulla scena economica mondiale.

La cavalcata di questi due giganteschi paesi pare non avere freni e obbliga gli altri Stati, quelli europei in primis, alla rincorsa: per i capi di stato del Vecchio Continente un viaggio a Pechino o a Bombay è diventato una priorità, di quelle da segnare con un cerchietto rosso sull’agenda

Non è un caso che Ciampi si sia recato nel giro di poche settimane prima in Cina e poi in India. Il Presidente della Repubblica ha ricordato di recente come nel dopoguerra l'internazionalizzazione dell'economia italiana sia stata la chiave del nostro sviluppo, fattore essenziale della modernizzazione del Paese e quindi oggi occorra “proseguire su questa strada, puntando decisamente sull'innovazione e sulla ricerca per affermarsi sui nuovi mercati, vicini e lontani”.

Gli imprenditori del Nord-est, i calzaturieri marchigiani, gli industriali del tessile pratesi e comaschi e il resto della galassia delle migliaia di PMI tricolori si devono convincere che la partita va giocata in trasferta: Shanghai, Canton, Bombay e Bangalore sono questi i campi dove si giocherà un bel pezzo del futuro industriale dell’Italia.

Alzare la voce per chiedere dei nuovi dazi che possano in qualche misura porre un freno all’invasione delle merci provenienti da quei paesi è una strategia dal corto respiro: vuol dire giocare solo in difesa, fare “catenaccio”.

E’ necessario invece combattere per non essere irrimediabilmente tagliati fuori dalla penetrazione in Cina degli americani e dei giapponesi, dei tedeschi e dei francesi. Bisogna prendere in mano la valigia ed andare in giro per il mondo, per ridare slancio all’imprenditoria tricolore, oggi chiaramente in debito d’ossigeno.

L’esempio da seguire potrebbe essere quello della Indesit che all’inizio del 2005 ha siglato un accordo con la cinese WLS (Wuxi Little Swan Company), primo produttore cinese nel lavaggio, per una joint venture nella quale il gruppo di elettrodomestici avrà una partecipazione del 70%.

L'operazione prevede un investimento iniziale di 10 milioni di dollari allo scopo di avviare entro la seconda metà del 2005, nello stabilimento di Wuxi la produzione di lavastoviglie destinata in una prima fase principalmente all'esportazione.

Tuttavia una volta lì, è naturale pensare anche alla opportunità di produrre per il mercato interno: una lavatrice per ogni cinese potrebbe non essere più un sogno, ma diventare una possibiltà.
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