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Storia della moneta

Giovedì 27 luglio del 1999 le macchine del Servizio fabbricazione carte valori della Banca d' Italia hanno stampato le ultime banconote da 5.000 Lire. Gli altri tagli erano già usciti di produzione, senza tanto clamore, negli ultimi mesi.

Alla fine del 1999 l' Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato ha sospeso la produzione delle monete da 50, 100, 200 e 500; quelle da 1000 non si coniano dalla fine del ' 98.

Dunque i nostri fabbricanti di denaro si dedicano ormai solo all' Euro; la Lira Italiana starà ancora per po' nelle nostre tasche e poi (nei primi mesi del 2002) concluderà la sua storia: storia lunga e avventurosa, che parte da lontano.


I tempi del denaro sonante
Le monete che abbiamo in tasca sono spiccioli, mentre il denaro importante è di carta; quello ancor più importante è "pura informazione" che viaggia nei circuiti bancari. Fino a poco più di due secoli fa gli unici soldi circolanti erano le monete di metallo: salvo casi molto particolari, quelli di carta erano pura fantascienza. Derivata dal baratto, la logica era quella del denaro-merce: la faccia, le scritte, le altre decorazioni impresse sulla moneta erano lì a garantire (con una certa approssimazione) che quel dischetto conteneva una determinata quantità di metallo prezioso. Ma a contare, a essere scambiato era in fin dei conti il metallo prezioso, non la moneta. Non mancavano inconvenienti: ad esempio, se c'era bisogno di nuovi soldi e mancava l'oro o l'argento, che fare? Eppure, per millenni, non ci sono state alternative alla "moneta sonante".

Una libbra per Carlo Magno
Fino agli anni 780-790 la libbra era stata solo un peso; e neppure i legislatori di Carlo Magno intendevano trasformarla in qualcos'altro. Semplicemente si era introdotta in tutto l'Impero una nuova moneta chiamata Denaro tale che, con una libbra d' argento, se ne coniavano 240 esemplari.
Libbra, libra, lira... Senza che nessuno l' avesse deciso, la parola acquisì presto un nuovo significato oltre a quello legato al peso, e divenne "unità di conto": era più comodo dire "Una Lira" invece che "Duecentoquaranta Denari". Se i Denari erano 241 si diceva (e si scriveva): "Una Lira e un Denaro". Ma, come moneta, la Lira era un fantasma: materialmente non esisteva. Il Soldo, vecchia moneta circolante prima della riforma, divenne anch'esso un "fantasma", ossia l' equivalente teorico di 12 Denari. In sintesi: Dodici Denari uguale un Soldo, venti Soldi uguale una Lira. Come la vecchia suddivisione della Sterlina in Scellini e Pence; Sterlina che può chiamarsi anche Lira Sterlina...
In effetti, fino al 1971, gli Inglesi hanno contato i soldi secondo le regole di Carlo Magno. Anche i Francesi, fino alla Rivoluzione, ebbero a che fare con le Lire Tornesi e le suddivisioni per 20 e per 12. Dunque la Lira non è solo "nostra", ma è un fenomeno internazionale durato dodici secoli e non ancora estinto: quando (e se) la Sterlina confluirà nell' Euro, resteranno le Lire di Turchia, Cipro, Malta, Israele.

Di Milano o di Verona?
Ai tempi di Carlo Magno, dunque, 240 Denari facevano una Lira. Poi l' Impero crollò e diversi Stati si misero a coniare i loro Denari, ma con contenuti d'argento inferiori a quello di Carlo, e per di più diversi fra loro: le Lire divennero più d'una.
La pavese, la milanese, la veronese, la lucchese ad esempio: fatte sempre di 240 Denari, ma Denari rispettivamente di Pavia, Milano, Verona, Lucca. Tutte di diverso valore, tutte Lire astratte; intanto altre monete d' oro e d' argento dai nomi più disparati si disputavano la scena delle realtà locali e internazionali, del piccolo commercio e della grande finanza. Per lungo tempo naufragarono i tentativi (che pure ci furono) di materializzare quella "unità di conto"; anche e soprattuto perchè, per secoli, il suo valore era stato troppo grande per farne una singola moneta; ma il valore via via diminuì e a partire da metà Settecento, in alcune parti d' Italia, fu finalmente possibile tenere le Lire in tasca.

Ma la carta...
Sempre a metà Settecento, e precisamente nel 1746, apparvero le prime Lire di carta per regio editto di Carlo Emanuele III di Savoia. Carta, dunque nessuna "merce" reale di scambio; ma con la promessa che quei biglietti si sarebbero potuti convertire in oro. Un buon modo per far digerire un cambiamento così traumatico, anche se mantenere le promesse è sempre difficile... Ma di denaro ce n' era bisogno sempre più, e non si poteva restare legati (per fabbricarlo) alle scorte d'oro e d'argento. La cartamoneta, nata come mezzo di scambio d'emergenza, si rese via via più accettabile man mano che gli Stati affinarono gli strumenti di garanzia; ma fu un processo lungo, faticoso e costellato di disastri.

Sulla scia dell' Imperatore.
Alla fine del 1793, in piena Rivoluzione, la vecchia Lira Tornese salì sul patibolo: si chiamava sempre Lira la nuova moneta francese, ma era divisa in decimi e centesimi; nel 1795 cambiò anche il nome e divenne il Franco. Napoleone portò in giro per l' Europa il nuovo sistema monetario, adottandolo anche per la valuta del suo Regno d' Italia: la Lira Italiana. Bel nome, ma le monete portavano l' effigie del Bonaparte. Cacciato Napoleone si tentò di reintrodurre il vecchio sistema, ma ormai tutti si erano abituati alla razionalità del "decimale": ad esso si conformò anche la Lira Nuova di Piemonte, istituita nel 1816 da Vittorio Emanuele I.

Finalmente, l' Italia.
Proclamato il Regno d' Italia, il 17 Marzo 1861, si dovettero affrontare anche i problemi valutari dell'unificazione. Mantenendo in vigore le monete dei vecchi Stati (che poi gradualmente vennero ritirate) si cambiò nome alla Lira Nuova di Piemonte rispolverando la napoleonica Lira Italiana (ma stavolta c'era il ritratto di Vittorio Emanuele II) e dandole corso legale in tutto il regno. L' anno dopo altro cambiamento, e la autentica Lira italiana iniziò la sua carriera. A batter moneta secondo precisi criteri furono prima tre, poi quattro zecche; ma c' erano anche i soldi di carta...

Tante banche, tante banconote.
Al momento dell' unificazione sarebbe stato logico (Cavour l' avrebbe voluto) affidare a un unico Istituto l'emissione delle banconote; ma le unificazioni toccano forti interessi. E gli Italiani maneggiarono biglietti della Banca Romana, del Banco di Napoli, del Banco di Sicilia, della Banca Nazionale Toscana, della Banca Toscana di Credito per le Industrie e il Commercio, della Banca Nazionale nel Regno d' Italia e di qualche altra banca minore.
Gran parte di questi Istituti concorsero (1893) a formare la Banca d' Italia, la quale finì poi per assorbire gli altri. Nel 1926 il processo era concluso; ma a più riprese (fino al 1979) anche il Ministero del Tesoro ha emesso biglietti. Tante le tipologie di banconota a cavallo delle quali la Lira ha fatto il suo lavoro: un centinaio abbondante se ci limitiamo agli esemplari di "normale" circolazione; ma aggiungendo le emissioni un po' più particolari si arriva tranquillamente a cinquecento. Migliaia se si considerano anche le emissioni del tipo "miniassegni".

Quando una Lira valeva...
Ai tempi di Carlo Magno con una Lira si compravano uno schiavo e dieci montoni. Nell' Italia di fine Ottocento, 2500 Lire erano la retribuzione annua di un ufficiale della posta. Oggi bastano sì e no per un gelato... Di svalutazioni, dall' unità a oggi, ce ne sono state tante: le più drammatiche quelle legate alla due guerre mondiali, ma neanche le altre hanno scherzato. Curioso notare che assieme al potere d' acquisto è calato (ma non altrettanto) il formato dei biglietti. Il Mille Lire del 1896 misura 24 X 14 centimetri contro i 12,6 X 6,3 dell' attuale; il Diecimila del 1948 è 24,5 X 12,5 centimetri mentre l' attuale è 13,3 X 7. A fine Ottocento la banconota di valore più alto era quella da 1000 Lire; le 5000 e 10.000 sono arrivate nel 1947-48, le 50.000 e 100.000 nel 1967, le 500.000 praticamente l' altro ieri. Ma quest' ultima banconota (1997) non è in assoluto quella più "ricca": ai tempi della loro emissione (1864) le 5.000 Lire della "Banca Toscana di Credito per le Industrie e il Commercio" avevano un potere d' acquisto circa 80 volte superiore.

La Lira illustrata.
Fra i mille fronzoli giustificati dall' esigenza di demotivare i falsari, si è affacciata dalle nostre banconote una folla di personaggi italiani illustri (i re, gli artisti, gli scienziati, i benefattori) e tutta una serie di creature allegoriche: l' Italia, Roma, Genova, Venezia, Legge, Giustizia, Commercio... Si aggiungano selezionate opere d' arte, qualche scena di lavoro, qualche immagine evocatrice. Protagonisti delle serie più antiche sono i re, il fascismo ha privilegiato le allegorie, la repubblica i personaggi, ma le eccezioni non mancano. Le monete hanno in genere segni più sintetici ma di grande valore simbolico. Tanti profili di re, quadrighe, dèi greci, pesci, arance, api, spighe, caravelle... Vittorio Emanuele III era un grande appassionato di numismatica: le monete emesse durante il suo regno, particolarmente curate, hanno disegni morbidi e complessi.

Soldi rari, anomali, dimenticati.
Oltre ai soldi "normali", che hanno frequentato le tasche di tutti, ci sono banconote quasi sconosciute come le emissioni ottocentesche di piccole banche. Altre sono nel ricordo di chi ha una certa età: le famigerate "AM Lire" che i vincitori dell' ultimo conflitto sparsero a piene mani dal 1943, contribuendo non poco alla svalutazione postbellica; o le Lire che gli Austro-Ungarici fecero circolare nel Veneto invaso dopo Caporetto. Quando fu l' Italia a invadere altri paesi, ecco lire esotiche con scritte multilingui. I famigerati miniassegni degli anni Settanta hanno parenti più antichi stampati in diverse epoche per ovviare alla penuria di moneta. In un certo senso la nostra valuta è già "fantasma" da decenni: le ultime monetine da una Lira destinate alla circolazione risalgono al 1959. Sbarcato l' Euro, la Lira Italiana sarà un fantasma del tutto; ma, assieme a tanti altri oggetti non più in uso, le vecchie monete e banconote avranno ancora molto da dire sulle vicende, le traversie, i sogni, la vita spicciola del nostro passato.
Giovanni Garibaldi




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