E
l’ Italia cosa fa per difendere il suo made in Italy?
La crisi delle esportazioni e i circa 100mila posti di lavoro
persi negli ultimi 4 anni sono sotto gli occhi di tutti. Sono
parecchie le fabbriche del settore moda chiuse nel giro di
pochi anni, solo nel Nord-est hanno chiuso i battenti circa
1400 aziende del comparto.
Sono
alcuni degli effetti di una declino profondo di cui si parla
sempre con più insistenza negli ultimi tempi: mercoledì
scorso migliaia di persone del settore tessile e calzaturiero
sono scese in piazza per la prima volta dopo 12 anni.
La
crisi di queste aziende è in realtà il frutto
della crisi di tutto il sistema industriale italiano, costellato
di tante, troppe piccole e medie imprese non alleate tra di
loro e che non riescono a crescere (il cosiddetto nanismo
italiano). Se poi si aggiunge la stagnazione dell’economia
europea e la debolezza del dollaro allora si comprende la
reale consistenza del declino del tessile.
Una
situazione difficile che si è acuita con l’abolizione
dal 1 gennaio 2005 del cosiddetto accordo Multifibre,
una serie di quote e contingentamenti nel settore tessile/abbigliamento,
che ha aperto le frontiere europee alla competitività
di paesi emergenti.
La
caduta di questi sistemi, disposta dall’ Organizzazione
Mondiale del Commercio (Wto), ha lasciato campo libero all’
”aggressività” dei Paesi a basso costo di
manodopera, Cina in testa, che hanno impiegato meno di 3 mesi
per “dichiarare guerra” ai mercati europei.
Le
stime rilevate dall’ Ue parlano infatti di incrementi
di importazioni prevalentemente di prodotti tessili e di abbigliamento
che vanno dal 20 al 788% e, al contempo, si è registrato
un calo del prezzo di questi prodotti sceso da 3 al 136% rispetto
allo stesso periodo del 2004.
E
in Italia l’ Osservatorio per il monitoraggio delle importazioni
ha evidenziato aumenti tra il 300% e l’ 800%, con punte
del 1300% per tessile, abbigliamento e calzature, in pratica
i prodotti simbolo del made in Italy.
Come
arginare questa invasione? Si potrebbe ad esempio spostare
il baricentro della produzione tessile italiana, puntare cioè
su materiali pregiati e tecnologici, o ritagliarsi mercati
di nicchia, anche perché non è possibile pensare
di poter “eliminare” prodotti che oggettivamente
costano di meno.
Al
momento però la proposta avanzata dalla Lega Nord è
di porre dazi antidumping, cioè misure di salvaguardia
(tipo le imposte addizionali) su prodotti sotto costo, in
pratica tutti quelli che vengono immessi sul mercato a prezzi
troppo bassi.
“Ombrelli
protettivi” che di per sé potrebbero tamponare,
non certo risolvere il problema e come fanno notare esponenti
della stessa maggioranza l’ Italia da sola non può
imporre dazi, ha bisogno dell’ avallo dell’ Unione
europea, che dal canto suo ha già imposto, e da un
po’ di tempo, dazi antidumping sopratutto sui prodotti
provenienti da Pechino (circa 33 dazi Ue sui 58 in vigore
sono su prodotti cinesi).
E
l’ Italia cosa fa per difendere il suo made in Italy? Per
il momento si limita a discutere mentre prodotti a basso costo
provenienti sopratutto dalla Cina superano le frontiere e si
immettono sul mercato. E così la crisi continua.