BERLUSCONI:
PARTITO UNICO PER VINCERE NEL 2006
Testo
integrale del discorso pronunciato venerdì 20 maggio
da Silvio Berlusconi alla Fondazione Liberal
"Care
amiche e cari amici,
voglio
ringraziare innanzitutto e di cuore i promotori di questa
iniziativa, gli amici del Comitato di Todi e della fondazione
Liberal, a partire naturalmente da Ferdinando Adornato, per
aver voluto e saputo proporre a tutti noi questo momento di
analisi e di proposta in una fase complessa e difficile della
nostra vita politica. Siamo qui a riflettere sul nostro avvenire,
siamo qui per cominciare a scrivere un’altra pagina importante
della storia del nostro Paese. Non siamo qui a discutere di
un’utopia. Siamo qui a discutere di un obiettivo concreto
e alla nostra portata.I nostri ragionamenti non iniziano ora:
abbiamo almeno due anni di lavoro alle spalle, due anni di
discussioni, di analisi, di approfondimenti. Ma è venuto
il momento di agire anche in considerazione del fatto che
in queste settimane siamo chiamati a prendere una serie di
decisioni in vista delle prossime elezioni politiche.Una cosa
deve essere a tutti noi perfettamente chiara: non stiamo discutendo
di assetti organizzativi o di tattiche elettorali. Stiamo
discutendo di qualcosa di più grande e di più
importante.
Con
la nostra proposta guardiamo al decennio che abbiamo alle
spalle e, nello stesso tempo, al futuro della nostra alleanza.
Per questo non possiamo chiudere, delimitare questo dibattito
nei confini delle classi dirigenti dei nostri partiti. Per
questo dobbiamo dare il via ad un grande processo che parte
dal basso, dai nostri militanti, dai nostri elettori, dall’universo
di associazioni, di circoli, di fondazioni, di organizzazioni
– ma anche di singoli – che ad ogni livello esprimono
speranza e fiducia nei confronti della nostra parte politica.
Quello
che dobbiamo realizzare non è un accordo di vertice
tra leader di partito (anche quello indubbiamente è
necessario) ma un nuovo processo di aggregazione che dia luogo
ad una rinnovata e più forte partecipazione. Non siamo
qui semplicemente per discutere di un nuovo "contenitore".
Siamo qui per dare vita a un processo che - insieme alla nostra
rafforzata condivisione di valori, identità, convinzioni
- coinvolga anche chi condivide questi valori e queste convinzioni
ma non si ritrova ancora con noi nella battaglia politica.
L’incontro di oggi non è un laboratorio. Né
qualcuno di noi pensa di doverne aprire uno. E’ stato
giustamente ricordato che un partito non può nascere
in provetta. E’ vero. Quando dieci anni fa fondammo Forza
Italia, le polemiche furono feroci. Le ricordate? "Partito-azienda",
"partito di plastica", "il nulla", furono
solo le definizioni meno aspre. Secondo tanti Soloni della
politica si trattava di un esperimento in provetta destinato
a fallire, di una trovata che non avrebbe avuto seguito, di
un qualcosa che – estraneo alla cultura e alla storia
italiana, si diceva – non sarebbe durato che lo spazio
di un mattino. Da allora ad oggi, pur nelle alterne vicende
di un decennio, Forza Italia è stato sempre ed é
ancora il partito di maggioranza relativa di questo Paese,
un partito che ha il consenso di molti milioni di elettori,
che ha una classe dirigente di tutto rispetto, che ha riunito
alcune tra le più nobili e radicate tradizioni politiche
e culturali della storia d’Italia. Un partito che ha
saputo riunire un’alleanza tra pari che dura da un decennio,
che ha saputo coalizzare e tenere insieme tutte le forze moderate,
riformatrici e moderne espresse dalla società italiana.
È questa alleanza ad aver costruito qualcosa che in
Italia prima non c’era, ad aver reso possibile in Italia
il bipolarismo, la democrazia dell’alternanza. È
la nostra alleanza ad aver riportato la sovranità nelle
mani del popolo, rompendo definitivamente lo schema per il
quale prima si prendevano i voti e poi si diceva con chi e
per cosa si governava. Il nostro è stato un vero capolavoro
politico. Insieme abbiamo riproposto, in una forma del tutto
nuova, quell’interclassismo e quel pluralismo culturale
che hanno caratterizzato la migliore storia di governo d’Italia.
Abbiamo dato identità politica a un blocco sociale
che rischiava di essere disperso. Abbiamo unito gli interessi,
gli ideali, le volontà di cambiamento di oltre metà
degli italiani, con una proposta di governo, allora rivoluzionaria,
ma che, se avessimo potuto realizzarla in tempo, avrebbe evitato
forse tante delle difficoltà con cui dobbiamo fare
i conti oggi.
È
proprio così: se avessimo avuto l’opportunità
di realizzare con quasi dieci anni di anticipo le riforme
strutturali che abbiamo realizzato oggi, probabilmente ora
ne raccoglieremmo i frutti positivi e la situazione economica
del Paese sarebbe migliore. Così come sono certo che
fra qualche anno il Paese godrà i risultati del lavoro
riformatore che noi in questa legislatura siamo riusciti a
compiere, nonostante contrasti, incomprensioni e un’opposizione
nient’affatto propositiva. Al nostro successo del 1994
– come ricorderete - è seguita una fase in cui
ci siamo divisi: abbiamo perso prima il governo, poi le elezioni
del 1996 che avremmo ancora vinto nettamente se fossimo stati
uniti.
Dopo,
abbiamo iniziato un percorso che, tra molte incertezze e difficoltà,
ci ha riportato verso l’unità. Ricordo ancora
con grande soddisfazione il giorno del 1999 in cui annunciammo
un patto di consultazione parlamentare tra il Polo della Libertà
e la Lega Nord. Era il primo passo che diede inizio a un dialogo
importante tra forze che per qualche anno si erano anche combattute.
Era il primo segnale della reciproca consapevolezza che, se
fossimo rimasti divisi, saremmo stati condannati per sempre
all’opposizione. Fu una scelta lungimirante che ci permise
nel 2000 di costruire un nuovo soggetto, la Casa delle Libertà.Anche
allora, da quel patto di consultazione parlamentare alle elezioni
regionali non trascorse un gran tempo. Realizzammo in pochi
mesi le condizioni per la nostra unità e la nostra
vittoria.
È
dunque nella nostra storia decennale, storia non di laboratorio,
ma di concreta lotta politica, che troviamo i motivi che ci
spingono oggi a un nuovo, difficile ma necessario, salto di
qualità, ad aprire una nuova fase nella storia della
nostra alleanza. Non voglio soffermarmi su tutti i temi toccati
dalla discussione di questi due giorni che convergono verso
un possibile, comune manifesto dei valori efficacemente proposto
dalla lucida ed articolata relazione di Ferdinando Adornato.
Voglio però, tra i tanti temi, soffermarmi sull’Occidente,
sulla Riforma costituzionale, sul Liberalismo economico. Il
nostro governo e la nostra coalizione hanno compiuto in questi
anni una scelta netta di difesa e di promozione dei valori
dell’Occidente.
A
differenza dei nostri oppositori e anche di qualche governo
europeo, noi abbiamo compreso fino in fondo il significato
dell’11 settembre 2001. Non siamo stati tra chi ha detto
"tutto è cambiato" e "siamo tutti americani"
per poi contraddire queste parole e tornare alle vecchie e
demagogiche tesi vetero o tardo comuniste, non importa, sul
ruolo degli Stati Uniti, dell’Europa, dell’Occidente.
Per noi Europa e Stati Uniti sono legate dallo stesso destino,
per noi l’Occidente è uno solo. Noi siamo tra
quelli che hanno provato una grande gioia il giorno in cui
otto milioni di iracheni si sono recati alle urne per le loro
prime libere elezioni dopo una dittatura quasi quarantennale;
ma, a differenza di altri che solo quel giorno hanno capito
che quegli otto milioni di nuovi cittadini erano la vera "resistenza
irachena" noi abbiamo contribuito attivamente all’avvento
di quella primavera di libertà, anche pagando l’altissimo
prezzo del sacrificio dei nostri soldati. Noi, a differenza
di altri che solo oggi scoprono la necessità di espandere
l’area della libertà nel mondo (ma fino a ieri
hanno sostenuto l’esatto contrario nelle piazze e in
Parlamento) abbiamo sempre schierato l’Italia a difesa
della libertà e della democrazia. Su questo punto che
rappresenta una scelta di campo fondamentale, il governo,
la maggioranza, la Casa delle Libertà sono stati sempre
uniti con convinzione e condivisione assoluta. Mai, nemmeno
per un minuto, in Parlamento e nel Paese abbiamo avuto non
dico un dissenso, ma nemmeno un distinguo. E vi pare cosa
da poco, vista l’importanza epocale delle questioni in
gioco? Su questo noi siamo già un partito unico, mentre
i nostri oppositori non saranno mai neanche un’alleanza.Il
secondo punto sul quale vorrei soffermarmi è quello
delle riforme costituzionali. Sono più di trent’anni
che l’Italia avverte la necessità di una riforma
della seconda parte della sua Costituzione: poi, quando qualcuno,
sulla base di un mandato popolare, la realizza, si grida al
golpe e al tradimento della Costituzione.Su questa riforma
credo sia necessario sottolineare due aspetti. Innanzitutto
essa pone rimedio al caos istituzionale che hanno provocato
le modifiche al Titolo V apportate dalla sinistra all’ultimo
minuto della scorsa legislatura. Non occorrono eminenti giuristi
per affermare che quella della sinistra è stata una
modifica che ha messo, essa sì, in discussione l’unità
del Paese. Basta considerare la mole dei conflitti tra Stato
e Regioni di cui si è dovuta occupare in questi anni
la Corte Costituzionale.
La
Casa della libertà, dopo trent’anni di riformismo
fallito, è stata la prima maggioranza politica a trovare
al suo interno, l’equilibrio e la forza per approvare
questa grande riforma. Anche qui: vi sembra poco questo grado
di unità già raggiunto per poter pensare a costruire
un solo grande partito del centrodestra?C’è poi
l’ultimo tema, su cui voglio soffermarmi: il liberalismo
economico, l’economia sociale di mercato. Anche su questa
grande scelta di fondo non ci sono significative divergenze
tra noi. Sui principi e sui valori del nostro operare non
c’è tra noi la radicale divisione di prospettive
che c’è nella sinistra. Al contrario c’è
una forte sintonia, con una piena condivisione dei valori
e dei programmi.L’economia sociale di mercato costituisce
l’orizzonte comune entro il quale tutti i nostri partiti
si riconoscono perché si tratta dell’unica ricetta
che abbia saputo conseguire insieme benessere e solidarietà.
Il primo motore della società sta nella libertà
dell’individuo: la libertà di far valere il proprio
talento, di rischiare e di intraprendere sul mercato senza
ostacoli burocratici, la libertà di poter godere delle
più ampie opportunità di vita. Imprenditori
e lavoratori, ceti abbienti e ceti deboli, che diverse ideologie
hanno voluto antagonisti, partecipano di un unico universo
culturale: quello di una società che tenda ad estendere,
a tutti i livelli, la libera scelta dell’individuo, allontanando
il maggior numero di cittadini dalla soglia dell’indigenza.
Il problema nostro di oggi è semmai quello di impedire
che la crisi di stagnazione che investe l’Italia come
l’Europa possa dividere tra loro gli interessi di ceti
e categorie sociali che invece devono vivere e coesistere
in armonia. Soprattutto quei ceti e quelle categorie, l’ho
già ricordato, che dal Nord al Sud, hanno composto
un nuovo blocco sociale che ha appoggiato la nostra spinta
riformatrice. Paura del futuro, precarietà, incertezza:
sono queste le ansie che dobbiamo fugare per tornare a dar
forza in Italia al vento del rinnovamento. Il nostro Paese
è oggi di fronte a un bivio assai delicato: perché
la paura può bloccare il rinnovamento, ma senza il
rinnovamento non si può superare la paura. Perciò
noi restiamo l’unica opportunità a disposizione
dell’Italia e di tutti gli italiani per poter tornare
a guardare con serenità al proprio futuro. Dunque:
rilancio dell’Occidente, riforma dello Stato, economia
sociale di mercato. Sono tre pilastri su cui siamo già
profondamente uniti. E non sono forse questi i principali
pilastri su cui costruire una forza politica? Non costituiscono
questi temi i tre temi di fondo su cui ci si unisce o ci si
divide nelle società occidentali contemporanee? Proviamo
a rispondere a questa domanda: se fossimo in Spagna, in Germania,
in Inghilterra non saremmo forse già parte della stessa
forza politica?
Io
credo di sì, ed è per questo che ritengo che
la prospettiva di un nuovo partito che porti a sintesi le
nostre attuali appartenenze sia una prospettiva matura ed
utile. Sarebbe sbagliato non procedere ora che l’utilità
ed anzi la necessità di questa scelta vengono indicate
anche dagli stessi elettori che hanno voluto penalizzare le
nostre incertezze, le nostre litigiosità e le nostre
divisioni.
Noi
abbiamo ricevuto un segnale preciso dagli elettori. Con il
loro voto (o il loro non voto) alle regionali ci hanno fatto
comprendere che non possiamo andare avanti così. Certo,
abbiamo attenuanti serie ed è giusto che noi rappresentiamo
al Paese i vincoli entro i quali siamo costretti ad operare,
primo tra tutti la difficile congiuntura economica. Ma invocare
le attenuanti non vuol dire essere ciechi e sordi di fronte
ai segnali che gli elettori ci mandano. Se conveniamo nel
fatto che parte dei nostri problemi vengono dalle nostre divisioni,
dobbiamo prendere atto che le regole del nostro stare insieme
non hanno funzionato adeguatamente. Chi come noi è
unito da una visione comune della politica estera, da una
visione comune della politica economica, da una visione comune
delle istituzioni e dello Stato può e deve trovare
il coraggio dello stare insieme sotto il tetto di una nuova
casa comune.Tutti i nostri partiti, a mio avviso, trarrebbero
nuovo slancio nell’intraprendere insieme il nuovo percorso.Per
Forza Italia si tratta di uno sbocco naturale. Essa già
nasce come movimento che realizza la sintesi tra tradizioni
politiche e culturali diverse, tra percorsi umani prima separati.
L’identità di Forza Italia è il frutto
di una sintesi tra il popolarismo, il liberalismo, il riformismo.
Forza Italia, proprio per la sua natura non sente come un
trauma l’evolvere verso un nuovo approdo, perché
in politica, o si va avanti o si recede. E noi vogliamo andare
avanti.Per quanto riguarda gli altri partiti non intendo certo
interferire nel loro dibattito interno. Mi consentirete soltanto
di dare un piccolo contributo ad una riflessione che considero
comune.
Alleanza
Nazionale ha compiuto, da Fiuggi a Verona, un cammino significativo
che ha portato alla nascita di un partito nuovo. Da una destra
minoritaria e di opposizione è nata una destra moderna,
di governo, riformatrice, che guarda al futuro. Tanto che
oggi il leader di quel partito è il ministro degli
esteri della Repubblica italiana, ed un Ministro degli Esteri
credibile ed apprezzato.
Io
sono convinto che anche per Alleanza Nazionale la prospettiva
di essere tra i fondatori del nuovo partito dei moderati italiani
possa rappresentare il compimento di questo percorso di dieci
anni, un passaggio per molti versi analogo a quello compiuto
in Spagna dal partito di Aznar, e dunque un passaggio capace
di imprimere una svolta alla futura storia d’Italia.Quanto
all’Udc, la nostra comune appartenenza al Partito Popolare
Europeo sarebbe già di per sé sufficiente a
spingerci verso una compiuta unità. Ricordo peraltro
che nel 1994 i loro leader furono eletti nelle liste di Forza
Italia. Non solo: va dato atto agli amici dell’Udc che,
in anni più difficili, hanno saputo opporsi alla deriva
che ha portato altri - che come loro avevano fatto parte della
Dc - prima a non scegliere tra i nascenti poli e poi ad accasarsi
a sinistra. La loro scelta, invece, è stata limpida
e mai, nel tempo, messa in discussione. Anche il Ccd e il
Cdu, oggi Udc, hanno dovuto fare la loro traversata nel deserto
e l’hanno fatta con rigore e con passione. Per questo
io credo che possa essere davvero esaltante per chi ha vissuto
la grande storia della Dc dar vita a un nuovo grande partito
popolare ed europeo, che possa tornare a superare il 40% dei
voti, frutto del nuovo incontro tra laici e cattolici che
la Casa delle libertà ha reso possibile.Tutti sanno
ciò che io penso dell’alleanza politica con la
Lega. Essa rappresenta una delle forze innovative della politica
italiana e ad essa va riconosciuto il merito di aver posto
il tema del federalismo come tema di nuova libertà.
Alcuni obiettano, non senza qualche ragione, che la natura
di un partito macroregionale mal si concilia con il progetto
di un grande partito nazionale. Ecco perché vanno studiate
e messe a punto intese politiche ed organizzative che esaltino
l’unità che c’è stata, c’è
e continuerà ad esserci con la Lega su tutti i temi
cruciali del Paese.
Ci
sono poi le altre formazioni politiche che conosciamo, il
nuovo Partito Socialista, il Partito Repubblicano, il Partito
Radicale che spero possano costruire un rapporto positivo
con questo progetto. Dunque ci sono, a mio avviso, tutte le
premesse per dare il via a questo disegno: ci sono valori
condivisi, ci sono obiettivi politici condivisi, ci sono opportunità
condivise. La nostra sfida non è dare vita ad una addizione
di forze ma piuttosto quella di creare lo strumento per un
loro irrobustimento. Perché il nuovo soggetto cui vogliamo
dare vita non deve essere solo l’erede delle nostra decennale
storia comune, deve essere il protagonista dei prossimi decenni
della storia politica italiana. Andando oltre a queste valutazioni
generali, mi piace l’idea di una "road map":
una volta verificato l’accordo tra noi, dopo una fase
di discussione ancora più approfondita, potremmo dar
vita a un comitato costituente con il compito di elaborare
un "manifesto dei valori" definitivo e una prima
bozza di statuto: due documenti sui quali promuovere quel
grande dibattito in tutto il Paese che porti alla nascita
del nuovo soggetto.
Sarà
il definitivo compimento della nostra transizione politica:
dal Polo delle libertà alla Casa delle libertà
al Partito della libertà o come insieme decideremo di
chiamarlo. Un nuovo partito italiano di governo: liberale, popolare,
nazionale, riformista. con nuovi movimenti e associazioni, che
già esistono o che stanno nascendo al Sud come al Nord,
disposti a condividerne il programma. Un partito popolare e
nazionale, in grado di collocarsi oltre il 40% dei consensi
e di essere la casa di tutti i moderati e di tutti i riformatori.C’è
un modello al quale ispirarsi? Qualcuno ha parlato di sezione
italiana del Ppe, qualcun altro ha fatto riferimento al Partito
Repubblicano degli Stati Uniti, qualcun altro ancora a quello
che sta accadendo in Francia. Io credo che sia innanzitutto
indispensabile prendere a modello noi stessi, la nostra storia,
le idee e i valori che insieme abbiamo elaborato e affermato
in Italia. Perché questa è la garanzia che non
seguiremo modelli astratti, che costruiremo un nuovo partito
"italiano", un nuovo partito degli italiani. Un partito
della libertà o un Alleanza della libertà che
sia in primo luogo modellato sui desideri, le aspettative, i
bisogni e gli interessi degli italiani. È del tutto evidente
poi che, nascendo in Europa, questo partito non possa che fare
riferimento al Partito Popolare Europeo, la grande famiglia
della libertà e della democrazia in Europa. Le regole
di questo partito le scriveremo "tutti insieme": comprese
ovviamente le regole per la formazione della leadership. Possiamo
riuscire in questo progetto? Io credo proprio di sì.
Se ci riusciremo avremo ancora una volta guidato l’Italia
verso un’ulteriore, importante tappa della sua modernizzazione
politica. So che non è mai facile decidere di condividere
con altri abitudini e appartenenze consolidate: ma so anche
che i nostri partiti, tutti i nostri partiti si sono uniti dieci
anni fa per cambiare l’Italia. Il mio invito dunque è,
come sempre, quello di non far prevalere egoismi, particolarismi,
paure: crediamoci insieme, lavoriamo insieme, impegniamoci insieme,
guardiamo insieme con fiducia e con coraggio al futuro dell’Italia."