Viaggio
nella sede del motore di ricerca più famoso del mondo dove
hanno deciso di mettere in Rete tutti i libri esistenti
Nel "monastero" di Google
nuova biblioteca di Babele
Il catalogo incomincia dalla Bibbia di Gutenberg
del 1455 "Vogliamo riempire i buchi e i vuoti della nostra
storia"
MOUNTAINVIEW (California) - Il villaggio della memoria totale
con quel buffo nome da cartone animato, Google, è tutto
di palazzetti bianchi, sparpagliati tra le ultime marcite della
baia dove l' Oceano Pacifico muore. Così candido sullo
sfondo della Sierra Nevada, nel suo color calce, ricorda quei
paesi medioevali del nostro Mediterraneo che John Steinbeck immaginò
trovandosi davanti a San Francisco e non solo nell' aspetto. Un
dubbio di Medioevo venturo lo percorre davvero, nel silenzio da
chiostro che lo avvolge, nella laboriosa e maniacale operosità
dei tecno frati e delle cyber suore che lo popolano, ma soprattutto
nell' impresa nella quale si sono buttati.
Niente altro che catalogare, ricomporre, riprodurre e salvare
l'intera memoria dell'umanità contenuta in tutti i libri
del mondo. I tecno monaci del nuovo ordine di San Google stanno
in pratica tentando di ricomporre e ricostruire la Torre di Babele,
sotto lo sguardo dello stesso Dio geloso che sbriciolò
la prima.
Il
villaggio si chiama ufficialmente "Googleplex", come
lo hanno battezzato i nuovi "servi a manu", i nuovi
amanuensi che aborriscono espressioni burocratico aziendali
come sede centrale o quartier generale. Ma questo, qualunque
sia il nome che si vuol dare alla rosa, è il quartier
generale di quella società che uno studente americano
e un immigrato russo crearono insieme sette anni orsono per
rendere più razionale e facile con le loro formule alchemiche
l'esplorazione di quella Babele, appunto, di quel caos primordiale
chiamato Internet.
Qualche
mese addietro, quando la sortita in Borsa della Google ha rovesciato
un'inondazione di dollari, 60 miliardi, nella casse della società
e nelle tasche dei fondatori e dei primi azionisti oltre i sogni
più rosei, anziché correre a comperarsi Ferrari
e Rolls, quadri impressionisti e ville in Sardegna, i nuovi
ricchi con la vocazione (anche loro) del Bene hanno semplicemente
deciso di investire miliardi, intelligenze, forze e tempo per
catalogare e mettere a disposizione di tutti, ovunque, ogni
pagina di ogni libro di ogni nazione di ogni lingua pubblicato
da ogni editore in ogni tempo e in ogni luogo dal 1455, l'anno
in cui Johann Gutenberg si cimentò con la Bibbia.
Nessun
libro mai scritto e stampato, per quanto piccolo, insignificante,
stupido, brutto, deve andare più perduto, perché
ogni pagina è stata, e quindi è, una molecola
del cervello collettivo dell'umanità.
Occorre essere molto giovani, molto ricchi, molto ambiziosi,
molto Google, soltanto per concepire, non si dice realizzare,
una impresa del genere.
"Effettivamente,
neanche noi sappiamo quanto tempo occorrerà, forse anni,
forse decenni, forse non lo finiremo mai, forse è addirittura
impossibile. Che ne sappiamo, ci proviamo", civetta agitando
le mani e sorridendo con i suoi begli occhi color grigio azzurro
baltico Marissa, sangue finlandese-americano, una delle due
badesse del progetto "biblioteca del mondo", due donne.
È
probabile che menta, Marissa Mayer, perché anche lei,
come tutti i giovanotti e le ragazze che si muovono in silenzio
dentro il monastero di San Google, non sanno che cosa significhi
fallire, non hanno mai battuto la testa contro il soffitto del
cielo né subito la collera di questi dei dispettosi che
hanno spazzato via con un gesto altri progetti e forato le infinite
bolle della superbia umana, da Babele al Nasdaq.
Giovani
certamente sono, con una scandalosa età media di 31 anni
per i tremila impiegati. Sono carichi di lauree in "computer
sciences", come Marissa, ottenuti nelle migliori università
del pianeta, a cominciare da quella vicinissima Stanford, dove
il russo Sergey Brin e l'americano Larry Page studiarono e si
conobbero. Sono sfacciatamente e meritatamente ricchi, ora che
la loro impresa fecondata inizialmente da una donazione di 10
mila dollari che i due non sapevano neppure dove depositare
perché non avevano conti correnti bancari, è andata
in Borsa dall'autunno 2004 e ha raggiunto un valore di capitale
circolante superiore alla General Motors e la Ford. Messe insieme.
E
Google, il nome creato giocando sul lemma "googol",
una parola inesistente che il nipotino di un grande matematico
americano, Edward Kasner, inventò quando il nonno gli
chiese di battezzare il numero 10 alla 100esima potenza ("Uno"
seguito da 100 zeri) ha la faccia e l'anima di tutto del mondo,
indiani, pachistani, cinesi, arabi, europei biondi e bruni,
russi, africani, bianchi, che vedo curvi a compitare stringhe
di caratteri sulle loro tastiere mute davanti agli schermi,
in uno stato di volontaria e autosufficiente clausura.
Nel
parcheggio, tra le solite Volvo scalcagnate, le Toyota usate
(ma anche fresche Bmw e Mercedes e Lexus) che segnano tutti
i campus della California, sosta uno studio odontoiatrico ambulante,
perché neppure carie e nevralgie distolgano tempo dalla
missione, mentre terziari laici provvedono a lavare le macchine
e una signora turca, proprio turca "native" specifica
il manifesto, offre al personale femminile con qualche prurito
"lezioni di danza del ventre".
Un
mondo autosufficiente, appunto come un convento cistercense.
Ora et labora. Et gioca, come vedo, salutandolo da lontano attraverso
i vetri del suo piccolissimo e quindi snobissimo ufficio, proprio
Sergey Brin, il fondatore. Telefona da una scrivania assediata
da un numero assurdo di automobiline radiocomandate sparse sul
pavimento in vari stadi di montaggio e smontaggio, con le loro
budelline elettroniche sventrate. Il riposo dell'ingegnere.
Il
grande progetto
Non sono stati i primi, né gli unici, ad avere avuto
l'idea di riversare nei server, negli armadi elettronici, i
libri nel progetto Google Print, come si chiama ufficialmente.
Lo fanno già grandi biblioteche universitarie e lo fa
la British Library, che ha messo proprio la Bibbia di Gutenberg,
conservata nelle proprie teche, in Internet. Lo fanno siti commerciali
come la libreria on line amazon. com, che permette la consultazione
via computer di estratti dei libri che vende e lo fanno i napoletani
dell'associazione Liber Liber che nel loro Progetto Manuzio,
il grande tipografo di Velletri contemporaneo di Gutenberg,
hanno in rete già centinaia di capolavori della pagina
stampata, a disposizione gratuita di tutti.
Non
sta dunque nell'idea di portare in Internet il sogno perduto
della biblioteca di Alessandria, della biblioteca Marciana di
Venezia, della mitica biblioteca di San Giovanni il Teologo
a Patmos, del Beato Renano in Alsazia o delle università
arabe dove Ibn Sina e Ibn Rushd, Avicenna e Averroè,
studiavano e scrivevano, la mirabile insensatezza dei benedettini
googoliani.
È
nella scala del progetto, in quella presunzione di assoluto
contenuta nella promessa di portare ogni libro mai stampato
a portata di qualsiasi computer portatile con un collegamento
alla rete. Hybris, superbia da Prometei, mi azzardo a dire e
lo sguardo baltico di Marissa si ghiaccia: "Noi preferiamo
chiamarlo il nostro progetto Luna, il nostro Moonshot, quello
che John Kennedy propose nel 1961, senza avere i mezzi, i soldi,
la tecnologia per realizzarlo. Si ricorda?". Mi ricordo,
io ero già grande "Otto anni dopo, il 20 luglio
del 1969, Armstrong mise il piede sulla Luna. Era hybris, superbia,
anche quella di Kennedy?".
Ma
la luna era un passetto da bebè rispetto a questo balzo.
"Soltanto nella Bibioteca del Congresso a Washington ci
sono 12 terabytes da registrare", 12 mila miliardi di caratteri
in 28 milioni di libri. E pochi di meno a Manhattan, nella Public
Library di New York, nella Harvard di Cambridge, Massachussets,
a Oxford, nelle cinque grandi biblioteche già convertite
al progetto Babele, un'enormità di pagine stampate che,
dagli ideogrammi cinesi a Bejing ai kanji Giapponesi, al cirillico,
all'arabo nessuno può neppure cominciare a quantificare.
I
rivali, che hanno visto in neppure sette anni, dal 1998 quando
la Google Inc fu creata, risucchiare l'80% di tutte le queries,
le ricerche, provenienti dal mondo intero, dicono che questa
volta Brin, Page, i loro piccoli wizards, i loro Henry Potter,
si romperanno il nasino. Che non ce la faranno a completare
questo stunt, questo numero e può darsi che gli invidiosi
abbiano ragione e il progetto di ricomporre l'albero della conoscenza,
sia la loro fine.
Ma
la metafora della Luna li sorregge più di quanto le rovine
della Torre o la cacciata dall'Eden li inquietino. È
toccante scoprire che giovanotti neppure nati quando Eagle allunò
nel mare della Tranquillità, ancora sentano il richiamo
di quella chiamata alle armi senza guerre. Ma come farete a
spremere e infiascare nei vostri server tutti i libri del mondo?
"Prima
di tutto dobbiamo risolvere il problema del copyright, dei diritti
degli autori e degli editori. Stiamo assumendo più avvocati
che specialisti di informatica, per negoziare con le case editrici
in tutto il mondo, dal Giappone agli Stati Uniti. Poi dobbiamo
affrontare la difficoltà maggiore, quella di sfogliare
le pagine, una per una". Mi racconta che lei e Sergey Brin,
uno dei due cofondatori che potrebbe, a 30 anni, incassare il
suo primo miliardo di dollari (la domanda pubblica di vendita
di azioni è già stata fatta alla Commissione di
Borsa, come vuole la legge americana quando sono i grandi azionisti
dirigenti a liquidare) e vivere in eterno senza riuscire a spenderli,
dopo avere partorito insieme l'idea provarono a riversare un
libro qualsiasi, comperato in libreria, di 300 pagine nel computer.
"Facendo una pagina a testa, a mano, dalla copertina alla
quarta di copertina, impiegammo quasi un'ora".
Dunque,
calcolando a braccio, soltanto per smazzare i 28 milioni di
libri raccolti alla Library of Congress di Washington, i due
impiegherebbero almeno 28 milioni di ore, un milione e 166 mila
giorni, tre millenni, secolo più secolo meno. No, così
non poteva funzionare, a meno di impiegare milioni di amanuensi
e poi nemmeno, perché errare è umano "e alla
fine ci accorgemmo che nella scannerizzazione delle pagine,
cioè nella trasposizione delle parole stampate in caratteri
alfanumerici, c'era stato il 3% di errore, circa 10 pagine su
300 sbagliate. Inaccettabile".
Ci
hanno provato coi robot. Si sono rivolti all'Università
americana più avanzata nella ricerca robotica, la Carnegie-Mellon
di Pittsburgh, perché gli progettassero un automa amanuense.
Mi fanno vedere una specie di benedettino meccanico, un ragno
capace di sfogliare le pagine, di leggerle e di pomparle poi
dentro la memoria dei computer. "Non ci siamo ancora",
ride Marissa "i robot usano ventose per girare le pagine,
ma qualche volta la strappavano, non le voltavano per bene,
lasciavano pieghe che interferivano con la lettura ottica. Non
possiamo correre il rischio di strappare una pagina della Bibbia
del 1455 e poi dire, ooops, sorry, adesso la incolliamo con
lo scotch tape". No, effettivamente, alla British ci resterebbero
male.
"Per
i libri nuovi, in commercio, la soluzione è quella di
strappare le pagine una per una, e passarle su un lettore piatto,
tipo fotocopiatrice o fax, ma con i libri fuori stampa o addirittura
antichi, non se ne parla. Anche se potessimo farlo, il costo
di rimettere poi insieme le pagine e rilegare di nuovo il libro
sarebbe proibitivo". Esattamente come nel 1961, quando
Kennedy si buttò sulla Luna, c'è l'idea, ci sono
i soldi, ma la tecnologia per realizzarla è ancora da
inventare.
Forse
per questo, tutto è ancora rigorosamente segreto. Marissa
mi dice soltanto che "alcune nostre squadre stanno già
lavorando in questo momento con biblioteche e bibliotecari,
mentre gli avvocati trattano con gli editori per i diritti",
una piaga, questa dei legali, che almeno agli architetti della
Torre fu risparmiata. Ma non mi vuol dire esattamente dove.
Come
tutti i grandi ordini religiosi, i grandi monasteri e Disneyworld,
dove tutto sembra dolce e soffice in superficie, ma sotto il
saio e sotto il pelouche ci sono segreti e sancta sanctorum,
anche Google è un'armata soft, ma un'armata non di meno.
Sa di essere impegnata in una guerra buona ("Non fate mai
il Male" è il motto ultrabuonista dei fondatori,
che precede persino George Bush) ma una guerra, contro avversari
che ogni secondo di ogni giorno lavorano per portarle via i
segreti del successo.
L'arma
di dominio di massa è il numero delle richieste che 200
milioni di utenti di Internet presentano ogni giorno al sito
di Google, con queries, domande che coprono l'universo delle
curiosità lecite e illecite e, secondo i rating di NetMetrix,
rappresentano il 70% del traffico mondiale. Avere nei propri
cervelli elettronici l'intera memoria bibliografica del mondo
promette nuovi e ancora più grandi maree di contatti,
oltre a quelli che vedo scorrere incessantemente sui grandi
monitor al plasma accesi ovunque dentro le palazzine bianche.
Depurate
delle richieste oscene o delle domande di accesso alla galassia
del porno Internet, passano sugli schermi richieste in ogni
lingua, in cinese e in hindi, in russo, in spagnolo, in italiano.
Dall'Italia, sanno tempestando Google con domande sulla storia,
le dimensioni e le immagini del Partenone. C'è qualche
scolaro disperato, o qualche genitore premuroso a Varese o a
Messina, a Venezia o a Imperia, che sta sudando sangue su una
ricerca.
Le
domande del mondo
E proprio in quelle domande che corrono a cascata sugli schermi
al plasma e divengono raggi luminosi che si sprigionano dal
mappamondo virtuale che ruota su un altro monitor per indicare
graficamente da dove vengano, e quante siano le queries, c'è
la dolcezza di questa superbia. Spogliata di tutta la retorica
spesso imbonitoria della New Economy, l'impresa dei trentenni
di Google è il tributo finale del futuro al passato,
la pace tra la memoria e la fantascienza.
Carta
e silicio, rilegatori e programmatori, si riconciliano nella
fatica di questa sfida. "Le racconterò come mi è
venuta l'idea", si scioglie alla fine la signora del Baltico
trapiantata sulla Baia di San Francisco. Un giorno, frugando
nella classica soffitta, trovai un sussidiario di quinta elementare
appartenuto a mio nonno, quando era bambino a Helsinki. Cominciai
a leggerlo e poi a cercare gli altri volumi, dalla prima alla
quarta, e non c'erano più, erano andati persi, o buttati
via. Pensai a quanti bambini finlandesi erano cresciuti e si
erano formati su quei sillabari e sussidiari, che erano entrati
a far parte della loro memoria collettiva e quindi della storia
di una nazione, di una cultura, del mondo e che erano andati
perduti per sempre. C'era un buco, un vuoto, nella nostra storia.
Ne parlai con Sergey Brin, uno degli inventori e fondatori -
e anche lui, che era andato via dall'Unione Sovietica con la
sua famiglia quando era ancora alle elementari aveva pensato
le stesse cose".
Dunque
ricordare tutto, per non ripetere niente, per non farsi ingannare
da chi riempie le fosse delle amnesie con le nuove bugie. Già
oggi, Google è diventato un verbo, "to google".
Se qualcuno vi racconta qualcosa di sospetto, se un politico
proclama qualche verità trombonesca, sulle tasse, sulla
guerra, sulla storia, "google it", andate a verificare.
In fondo, dietro le magie dei bit e dei byte, si sente una inespressa
e inconfessabile intenzione politica, nel senso più alto
della parola. La verità della memoria, che è l'antitesi
di ogni ideologia. L'antidoto definitivo a ogni possibile censura,
a ogni falò di libri, a ogni indice.
Nel
Mein Kampf, Adolf Hitler scrive che "la capacità
della masse di comprendere è molto limitata, ma la loro
capacità di dimenticare è infinita". Se la
pazzia di questi nuovi scalatori della Luna nel loro convento
modernista alla fine dell'Oceano riuscirà, nessuno potrà
più dire che "non sapeva".
Nella
raccolta di ogni parola mai scritta, di ogni pensiero mai formulato,
c'è la Bibbia dell' uomo, il nuovo peccato imperdonabile
della libertà di conoscere. Potrà il Dio geloso
di Babele permetterlo? (23
gennaio 2005)
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