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REPUBBLICA DOMINICANA: I NOSTRI EMIGRANTI


Gli emigranti italiani

Gli italiani arrivarono in repubblica Dominicana spontaneamente alla fine del 1800 e al principio del 1900, dedicandosi all' industria dello Zucchero ( la famiglia Vicini e Giraldi ); a l' agroindustria ( la famiglia Bonetti e Bolonotto ); alla orologeria ( la famiglia Di Carlo e Caprile ); ai ristoranti ( la famiglia Bonarelli e D’ Agostino ). Nel paese esistono circa cinque mila cognomi italiani.

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BRUTTI, SPORCHI E CATTIVI: STORIE DI EMIGRAZIONE ITALIANA
Straordinarie assonanze tra vecchi e nuovi movimenti migratori.

di Edoardo Papa



Esce in libreria, in questi giorni, il volume "Storie dell'emigrazione italiana. Arrivi", edito da Donzelli. 43 saggi, altrettante storie di miseria e d'ingiustizia, di discriminazione e di violenza subite dagli italiani che, a cavallo tra Ottocento e Novecento, cercavano fortuna all'estero. Negli States, i più, ma anche in Svizzera, Germania, Australia. Luoghi di destinazione diversi per i viaggi della speranza di milioni di disperati italiani, ma uguale trattamento all'arrivo: orrendo.


Era il 1922 quando un certo Jim Rollins, nero di pelle, veniva condannato in primo grado di giudizio per un reato molto grave nel Sud degli Stati Uniti: miscegenation. Di altro non si trattava che di aver mischiato le razze avendo avuto rapporti sessuali con una bianca. Fa inorridire, al giorno d'oggi, pensare che una corte americana si dovesse pronunciare su una "colpa" simile, ma desta ancora più scalpore, in noi italiani, sapere che Rollins fu assolto in secondo grado per aver dimostrato come il reato non sussistesse poiché la donna in questione era italiana, per la precisione, siciliana. Dunque, argomentò il giudice, "non si poteva assolutamente dedurre che ella fosse bianca."


Stupiti? Non fu un caso isolato, lombardi, veneti, siciliani e calabresi erano accomunati, all'estero, dall'essere italiani, vale a dire, rissosi, ladri, mendicanti e chiassosi. Les Cheveliers du couteau, ci chiamavano in Francia per la nostra velocità a metter mano al coltello in caso di alterchi. "Dagos", invece, era il nomignolo che univa italiani e messicani nel sud degli Stati Uniti. Oppure "Wop", letteralmente, "without passport". Agli emigranti in America si rimproverava anche un eccessivo numero di feste e la dimensione folkloristica e superstiziosa della loro fede. Insomma discriminazione a tutto tondo, senza remissione.


Analoghe storie di discriminazione razziale subite dagli italiani negli States sono state raccontate da Gian Antonio Stella nel suo "L' Orda" (Rizzoli), che ha colmato la lacuna su una pagina triste della nostra storia. Questo nuovo lavoro, promosso dal Comitato nazionale "Italia nel mondo", istituito presso il Ministero dei Beni Culturali con contributi di Eric Vial, Gian Antonio Stella, Emilio Franzina (Italiani, brutta gente), Paola Colaiacono, Salvatore Lupo (Mafia siciliana e mafia americana) e tanti altri, dà un nuovo contributo per analizzare la storia dell'immigrazione e paragonarla ai nuovi flussi migratori verso il nostro paese.


Questi 43 saggi ci ripropongono la dura realtà vissuta dai nostri connazionali in paesi tutt'altro che ospitali. Ogni notizia, se non è una sorpresa è comunque uno shock per la drammaticità delle circostanze - assolutamente inimmaginabili - in cui vissero gli emigrati italiani. E non si trattava di sola discriminazione popolare. La riprovazione arrivava anche dalla classe politica, dagli intellettuali, dalla classe dirigente. Conan Doyle - il padre di Sherlock Holmes - non si risparmiò un truce sarcasmo affermando che "Per fortuna nei paesi del sud, terre di omicidi, non c'è la nebbia". Dalla vicina Svizzera alla lontana Australia il giudizio fu univoco ed inappellabile. Un giudizio "frettoloso, pregiudiziale ed ingiusto", un marchio di infamia che il miracolo economico del dopoguerra è riuscito lentamente a cancellare insieme alla miseria secolare che lo accompagnava.


Non bisogna dimenticare, però, che più d'ogni altro fattore, hanno potuto cambiare il giudizio sugli italiani, la tenacia, la forza lavorativa e la caparbia di coloro che immigrarono all'estero. Nonostante le discriminazioni, le violenze, le iniquità più becere, quel popolo di disperati è riuscito a non essere più definito come quello che sfrutta la commozione che muovono i bambini nel chiedere l'elemosina. Un accusa simile a quelle che riserviamo oggi, noi italiani, a quella massa di disperati che vaga per le nostre strade.


Legge del contrappasso? Ora, c'è chi sostiene che la nostra condizione di ex emigranti dovrebbe farci guardare al fenomeno immigratorio con una certa tolleranza, ma vale la pena chiedersi se, proprio in virtù degli orrendi torti subiti nella veste di immigrati, gli italiani invece non debbano porsi il problema di organizzare in modo civile l'incontenibile "orda" dei nostri tempi che invade tutti i paesi d'Europa. Poiché, tolleranza e pietà, non sono, da sole, sinonimo di dignità e rispetto per chi approda in Italia in cerca di una speranza e di una vita migliore.

 

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