Esce
in libreria, in questi giorni, il volume "Storie dell'emigrazione
italiana. Arrivi", edito da Donzelli. 43 saggi, altrettante
storie di miseria e d'ingiustizia, di discriminazione e di violenza
subite dagli italiani che, a cavallo tra Ottocento e Novecento,
cercavano fortuna all'estero. Negli States, i più, ma
anche in Svizzera, Germania, Australia. Luoghi di destinazione
diversi per i viaggi della speranza di milioni di disperati
italiani, ma uguale trattamento all'arrivo: orrendo.
Era
il 1922 quando un certo Jim Rollins, nero di pelle, veniva condannato
in primo grado di giudizio per un reato molto grave nel Sud
degli Stati Uniti: miscegenation. Di altro non si trattava che
di aver mischiato le razze avendo avuto rapporti sessuali con
una bianca. Fa inorridire, al giorno d'oggi, pensare che una
corte americana si dovesse pronunciare su una "colpa"
simile, ma desta ancora più scalpore, in noi italiani,
sapere che Rollins fu assolto in secondo grado per aver dimostrato
come il reato non sussistesse poiché la donna in questione
era italiana, per la precisione, siciliana. Dunque, argomentò
il giudice, "non si poteva assolutamente dedurre che ella
fosse bianca."
Stupiti?
Non fu un caso isolato, lombardi, veneti, siciliani e calabresi
erano accomunati, all'estero, dall'essere italiani, vale a dire,
rissosi, ladri, mendicanti e chiassosi. Les Cheveliers du couteau,
ci chiamavano in Francia per la nostra velocità a metter
mano al coltello in caso di alterchi. "Dagos", invece,
era il nomignolo che univa italiani e messicani nel sud degli
Stati Uniti. Oppure "Wop", letteralmente, "without
passport". Agli emigranti in America si rimproverava anche
un eccessivo numero di feste e la dimensione folkloristica e
superstiziosa della loro fede. Insomma discriminazione a tutto
tondo, senza remissione.
Analoghe
storie di discriminazione razziale subite dagli italiani negli
States sono state raccontate da Gian Antonio Stella nel suo
"L' Orda" (Rizzoli), che ha colmato la lacuna su una
pagina triste della nostra storia. Questo nuovo lavoro, promosso
dal Comitato nazionale "Italia nel mondo", istituito
presso il Ministero dei Beni Culturali con contributi di Eric
Vial, Gian Antonio Stella, Emilio Franzina (Italiani, brutta
gente), Paola Colaiacono, Salvatore Lupo (Mafia siciliana e
mafia americana) e tanti altri, dà un nuovo contributo
per analizzare la storia dell'immigrazione e paragonarla ai
nuovi flussi migratori verso il nostro paese.
Questi
43 saggi ci ripropongono la dura realtà vissuta dai nostri
connazionali in paesi tutt'altro che ospitali. Ogni notizia,
se non è una sorpresa è comunque uno shock per
la drammaticità delle circostanze - assolutamente inimmaginabili
- in cui vissero gli emigrati italiani. E non si trattava di
sola discriminazione popolare. La riprovazione arrivava anche
dalla classe politica, dagli intellettuali, dalla classe dirigente.
Conan Doyle - il padre di Sherlock Holmes - non si risparmiò
un truce sarcasmo affermando che "Per fortuna nei paesi
del sud, terre di omicidi, non c'è la nebbia". Dalla
vicina Svizzera alla lontana Australia il giudizio fu univoco
ed inappellabile. Un giudizio "frettoloso, pregiudiziale
ed ingiusto", un marchio di infamia che il miracolo economico
del dopoguerra è riuscito lentamente a cancellare insieme
alla miseria secolare che lo accompagnava.
Non
bisogna dimenticare, però, che più d'ogni altro
fattore, hanno potuto cambiare il giudizio sugli italiani, la
tenacia, la forza lavorativa e la caparbia di coloro che immigrarono
all'estero. Nonostante le discriminazioni, le violenze, le iniquità
più becere, quel popolo di disperati è riuscito
a non essere più definito come quello che sfrutta la
commozione che muovono i bambini nel chiedere l'elemosina. Un
accusa simile a quelle che riserviamo oggi, noi italiani, a
quella massa di disperati che vaga per le nostre strade.
Legge
del contrappasso? Ora, c'è chi sostiene che la nostra condizione
di ex emigranti dovrebbe farci guardare al fenomeno immigratorio
con una certa tolleranza, ma vale la pena chiedersi se, proprio
in virtù degli orrendi torti subiti nella veste di immigrati,
gli italiani invece non debbano porsi il problema di organizzare
in modo civile l'incontenibile "orda" dei nostri tempi
che invade tutti i paesi d'Europa. Poiché, tolleranza e
pietà, non sono, da sole, sinonimo di dignità e
rispetto per chi approda in Italia in cerca di una speranza e
di una vita migliore.
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