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FARE
POLITICA: LA PIAZZA VIRTUALE NON BASTA.!!
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Il
voto del 2004 è ormai alle spalle. Ma la maratona elettorale
è soltanto all’ inizio. Dodici mesi e saremo chiamati
a rinnovare con maggior ampiezza il quadro amministrativo
del paese con la scelta dei governatori regionali. Due anni
e sarà la volta delle politiche: il governo Berlusconi
dovrà rendere conto ai cittadini del proprio mandato,
ancora cinque anni o tutti a casa. Inevitabile, dunque, che
il risultato dello scorso 13 giugno assuma un significato
ben più rilevante di un semplice test di mezzo termine:
nella legislatura precedente, guidata dal centrosinistra,
il risultato europeo (e la coda amministrativa che lo accompagnò)
segnarono l’inizio della fine per quella coalizione,
incapace di reagire alla sconfitta e perciò inesorabilmente
incanalata verso un filotto negativo che la condannò
nel 2001 all’opposizione. Lo scorso giugno, la Casa delle
Libertà ha registrato risultati contraddittori: sostanziale
tenuta nella competizione europea, una vera disfatta in quella
amministrativa. Il centrodestra è dunque destinato
a ripercorrere, a parti inverse, lo stesso declino che toccò
alla parte avversa? O può ancora correggere la rotta,
imparare la lezione e dare nuovo spessore alla politica del
proprio governo e all’impegno dei partiti che compongono
la coalizione?
In attesa di credibili esami dei flussi elettorali, ci dobbiamo
limitare a una breve e sintetica analisi, evidenziando quegli
elementi che possono fornire una valutazione più attenta
e meno emotiva del quadro politico complessivo. Il voto europeo,
espresso su base proporzionale pura con voto di lista e preferenze
secondo uno schema rimasto immutato dalla Prima Repubblica,
ha evidenziato un sostanziale equilibrio tra le coalizioni
di maggioranza e di opposizione. Elemento che il governo ha
molto enfatizzato, contrapponendolo alla ventata anti-governativa
che ha spazzato gli altri paesi della Vecchia e della Nuova
Europa. Ovunque, nel Continente, i partiti al governo hanno
subito pesanti sconfitte, dalla Francia gollista di Jacques
Chirac alla Germania socialdemocratica di Gerhard Schröder,
dalla Gran Bretagna laburista di Tony Blair al Portogallo
liberale di Josè Manuel Durão Barroso, fino
alla Polonia post-comunista di Leszlek Miller dove la maggioranza
è scivolata sotto il 10 per cento. Uno scollamento
tra il sentimento degli europei e la retorica europeista dei
governi nazionali che è la vera eredità della
Commissione Prodi – denunciata dai giornali stranieri
ma in Italia pudicamente edulcorata – e ben rappresentata
dalla più bassa percentuale di votanti nella storia
delle elezioni europee. Un disincanto che ha coinvolto anche
i cittadini dei nuovi paesi centro-orientali che non si sono
abbandonati neppure all’entusiasmo dei neofiti.
Ma questo quadro continentale in Italia non si è apparentemente
riproposto, almeno limitandosi alle tabelle del voto europeo.
Se si analizzano i dati per coalizione, il centrodestra rimane
in maggioranza e il centrosinistra resta in minoranza anche
sommando i voti delle forze più estreme. Un sostanziale
equilibrio che tuttavia nasconde variazioni significative
all’interno dei raggruppamenti. Il voto europeo, per
la sua natura proporzionale, si presta assai più a
un’analisi per partiti che per coalizioni. E qui emerge
il vero dato nel centrodestra: il calo di consensi per Forza
Italia e per il suo leader Silvio Berlusconi, bilanciato da
un recupero degli alleati, tra i quali emerge con maggiore
nettezza quel centro democratico di sapore neo-democristiano
che Marco Follini ha condotto alla soglia del 6 per cento.
Bene anche Alleanza Nazionale che cresce e assorbe senza traumi
la scissione di Alessandra Mussolini, e la Lega Nord tornata
abbondantemente sopra la soglia di sbarramento delle politiche.
Se la leadership di Berlusconi, del leader carismatico, perde
smalto da un lato, quella di Romano Prodi, il leader ombra
del nuovo Ulivo, non decolla. Anche raschiando il fondo del
barile, quel che se ne tira fuori è poca roba: il progetto
di consolidare attorno a Ds e Margherita un polo riformista
capace di fare il pieno di voti moderati non ha funzionato
e il cosiddetto triciclo non è riuscito a raccogliere
neppure la semplice somma delle forze che lo compongono. Non
è molto credibile la scusa che il voto proporzionale
non favorisce gli accorpamenti, perché proprio le elezioni
europee erano state scelte come banco di prova per lanciare
il progetto. Gli elettori l’hanno, per ora, bocciato:
il nuovo Ulivo non dà alcun valore aggiunto alla gamba
riformista dell’opposizione e la leadership di Romano
Prodi non suscita più l’interesse di otto anni
fa. La sinistra antagonista, rinvigorita da mesi di opposizione
sociale, raccoglie il 13 per cento e risulta determinante
per qualsiasi ambizione di vittoria: peserà sul suo
programma e sulla sua azione di governo, se il centrosinistra
dovesse prevalere fra due anni.
Il ritorno della politica.Tanto più che sul piano amministrativo,
laddove i partiti ulivisti si sono presentati per conto proprio,
il successo è stato schiacciante e il dato disaggregato
premia soprattutto i Ds, cui evidentemente l’elettorato
attribuisce la forza e la credibilità di assumere il
ruolo di pivot della coalizione di centrosinistra: il ritorno
al passato prodiano non è dunque una via obbligata
e non è escluso che una leadership più forte
possa emergere nei prossimi mesi sparigliando il tavolo già
approntato. La Casa delle Libertà, al contrario, registra
una dura sconfitta con la perdita di molte città e
province anche nel cuore delle proprie tradizionali roccaforti,
al Nord come al Sud. Resiste in alcune isole felici dove la
scelta di candidati eccellenti, capaci di innestare sul territorio
un rinnovato lavoro politico, ha mascherato una situazione
organizzativa disastrosa. Per il resto il centrodestra, più
che il cattivo governo, paga l’assenza di iniziativa
politica e la pessima organizzazione territoriale del suo
partito principale, Forza Italia. Sul piano locale, inopinatamente
considerato secondario dalla leadership del Polo, si è
lavorato poco e male: personale politico improvvisato, candidature
scelte all’ultimo momento, progetto politico confuso,
rapporti lacerati con i partiti della coalizione. Ecco dunque
che il risultato amministrativo registra un approfondimento
di quello europeo. Il sismografo locale è più
sensibile, segnala scosse telluriche che un voto più
generale come quello per Bruxelles può non avvertire.
Il centrodestra è ancora in grado di invertire la rotta
perché l’elettorato resta all’interno dei
recinti del 2001, ma se non correrà subito ai ripari
il futuro è quello disegnato dal voto amministrativo.
E' dunque arrivato il momento di aprire una riflessione su cosa
serva alla Casa delle Libertà per riprendere smalto sia
nell’azione di governo che nella presenza sul territorio.
Il centrodestra ha un leader visibile, riconosciuto, determinato.
Ma il suo carisma, da solo, non basta più. Forza Italia
non può esaurire la sua attività politica in quella
del governo, rinunciando all’elaborazione politica, all’organizzazione
delle strutture territoriali, degli uomini, del personale. L’intuizione
del partito leggero non può sfociare nel partito vuoto:
basta guardare agli Stati Uniti, dove i partiti sono cosa solida
e presente in maniera capillare su tutto il territorio e il
momento elettorale rappresenta il massimo sforzo comune, non
l’unico. Serve la politica. Serve un progetto condiviso.
Serve la determinazione a perseguirlo. Serve il lavoro di squadra
con i partiti alleati. Serve maggiore attenzione ai think tank
di area (riviste, fondazioni, associazioni, circoli, istituti)
che sono sorti con tanto impegno e molte ambizioni. E al presidente
del Consiglio serve un partito che funzioni, che lo accompagni,
lo rafforzi, lo guidi nell’azione di governo. è
impossibile governare una realtà complessa come l’Italia
con un comitato elettorale che di tanto in tanto si riunisce
per lanciare slogan e manifesti. Dopo dieci anni a Forza Italia
si chiede di sfornare una classe dirigente all’altezza
del compito per cui è nata e per il quale è rimasta
sulla breccia tutto questo tempo. La retorica anti-politica
non funziona più, è inutile prendersela con i
professionisti della politica perché è proprio
quel professionismo che gli elettori oggi cercano e che la Casa
delle Libertà dovrebbe essere in grado di offrire: non
ha senso gridare al teatrino della politica se non si riesce
a metterne in piedi uno migliore. Cinque anni fa Forza Italia
fu debitrice di un 5 per cento al Partito radicale in nome di
una più incisiva riforma liberale; il 5 per cento evaporato
oggi verso centristi e An segnala un’esigenza diversa:
il ritorno della politica. Silvio Berlusconi ha ancora la possibilità
di farsene interprete.
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Il dott. Ermanno Filosa, vive in Santo Domingo,
è Presidente dell' Associazione di italiani "
AZZURRI NEL MONDO - FORZA ITALIA", e componente del COM.IT.ES.
(COMITATO DEGLI ITALIANI ALL' ESTERO - CIRCOSCRIZIONE CONSOLARE
DI SANTO DOMINGO - HAITI - GIAMAICA)
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