Ci
sono momenti in cui il silenzio è una necessità
più che un dovere. Momenti in cui non si può chiudere
il mondo dietro la porta di casa, lui là fuori, noi qui
dentro a festeggiare. Perché questo non è un Capodanno
come gli altri. Il mondo, fuori, ci è entrato in casa senza
bussare: è così che fa, quando la gente muore. Il
mondo sfonda la porta, ci mette davanti agli occhi le tremende
fotografie dei giornali, le strazianti immagini della televisione.
Non è possibile restare indifferenti a quel mondo che bussa
e muore, magari con una bottiglia di spumante in mano e un petardo
nell' altra.
Non
si tratta di retorica, né di astratta carità mentale.
La necessità del silenzio, come momento di riflessione
sulla nostra storia e sul nostro destino di uomini - che in un
attimo può trasformarsi nel destino di tutti e viceversa
(il destino è capriccioso e non si cura dell'indifferenza)
- riguarda chiunque abbia occhi e cuore.
E
allora pensiamo che stavolta sia giusto non fare rumore, non festeggiare
il nuovo anno con i botti e i fuochi: sarebbe come urlare in presenza
di chi soffre. Condividere un dolore non vuol dire diventare tristi,
ma rispettare quel dolore e chi lo sta vivendo.
Anche se si trova dall' altra parte del mondo: e poi, la tragedia
del Sudest asiatico ci ha spiegato che il mondo è diventato
proprio piccolo, e che lo si percorre in un attimo. Può
accadere di essere turisti in vacanza esotica, e in un istante
trasformarsi in vittime o testimoni di un cataclisma.
Dunque,
il silenzio di Capodanno è anche un modo per riflettere
su di noi, non solo per essere un po' più vicini a "loro",
ai lontani, agli sventurati.
Una festa senza fuochi (che, tra parentesi, ogni anno mozzano
mani e oscurano occhi, di bambini e ragazzi soprattutto) è
un segno di profonda umanità, di semplice ma vissuta partecipazione.
Aspettare il secondo che fa scoccare il nuovo anno, e pensare
che chi sta male non è solo: proviamoci, stavolta. Sarà
una maniera, anche, per augurarci di non essere soli quando potrebbe
toccare a noi star male.
Si
parla tanto di globalizzazione e di confini più vicini,
in questa nostra inquieta modernità, e così viviamo
nel mondo che aspetta il nuovo anno.
Proviamo
a farlo nel silenzio e nel rispetto del dolore, così anche
il nostro pensiero potrà essere un po' più globale,
se riuscirà a occuparsi dell' uomo.
Cioè
gli altri, cioè noi.
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