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Oscar Luigi Scalfaro
Sette
- 6-05-2004
Tanti anni fa era un democristiano doc. Aveva cominciato con la
Costituente e in seguito era diventato più volte ministro.
Di lui, i nemici, raccontavano che quando era magistrato aveva
chiesto l’ applicazione della pena di morte per un condannato.
E dicevano anche che era un po’ bigotto e che aveva maltrattato
una signora, in un ristorante, scandalizzato dalla scollatura
troppo audace. Al culmine della sua brillante carriera politica
divenne presidente della Repubblica e si distinse per il suo «non
ci sto», quando tentarono di coinvolgerlo in una storia
di fondi riservati e per il «no» che disse a Berlusconi
quando il leader di Forza Italia pretendeva elezioni anticipate.
Oggi lo riscopriamo beniamino dei girotondini e della cosiddetta
«società civile» mentre gira l’Italia
infiammando le folle della sinistra antiberlusconiana con discorsi
sulla legalità costituzionale e sull’impegno civile.
Una standing ovation dietro l’altra. Chi si sarebbe aspettato
che un anziano signore, Oscar Luigi Scalfaro, alle soglie degli
86 anni…
«Scusi
se la interrompo. Dal Quirinale si va in pensione, ma da cittadino
e da cristiano no».
Sarebbe a dire?
«Io non ho mai smesso di parlare. Dopo un anno di assoluto
silenzio, quando lasciai il Quirinale andai a parlare a Venezia,
a Milano, a Torino, a Genova, a Firenze, a Napoli, a Roma. Non
sono paeselli. Ma nessuna notizia è uscita su televisioni
e giornali ».
Non ce ne sono tante nemmeno adesso.
«Un suo autorevole collega mi disse che sospettava, anzi
aveva la prova, che c’era una direttiva di silenzio nei
miei confronti».
Eppure lei è diventato un campione dei girotondini.
«Una volta Paolo Flores D’Arcais mi invitò
a parlare a una riunione di tutti quelli che non vivono nei
partiti, le voci esterne. Avevo detto una frase che ebbe un
certo successo: “Io vorrei ringraziare tutti coloro che
scendono in piazza. Andrei da ciascuno di loro a dire: grazie,
grazie, grazie che vi interessate della comunità”».
Quando parla nelle piazze e nei teatri la gente si alza in
piedi ad applaudirla.
«Io difendo la Costituzione, dico che dobbiamo stare insieme.
Come durante la Resistenza. C’erano i comunisti, i liberali,
i cattolici, i monarchici. Nessuna parentela fra loro. Il denominatore
comune era la riconquista della libertà. Quando parlo,
è vero, la gente alla fine si alza e applaude a lungo.
Forse è il rispetto per la mia vecchiaia. Ma i giornali
non ne parlano».
Lei accetterebbe di sostenere un dibattito con Berlusconi?
«Ho avuto colloqui con lui quando lui era presidente del
Consiglio».
Per esempio quando Bossi gli tolse la fiducia e Berlusconi
voleva che lei sciogliesse le Camere.
«Berlusconi non volle andare in Parlamento a farsi votare
com’è tradizione. Lo dico perché al contrario
Romano Prodi, nella stessa situazione, convinto di recuperare
i voti che gli mancavano, si fece votare la fiducia. Era convinto
che cinque parlamentari del centro-destra avrebbero votato per
lui. Ai miei collaboratori fece anche i nomi. Io stetti ad ascoltare
l’appello nominale. E sentii che quei cinque votarono secondo
la disciplina di partito contro Prodi».
Si disse che contro Prodi ci fu un complotto di D’Alema.
«Si dice ancora oggi. Ma io posso assicurare che non ci
fu nessun complotto. Si parlava da tempo del fatto che Prodi
avrebbe voluto andare in Europa e che a sostituirlo sarebbe
andato naturalmente il capo della maggioranza. E il capo della
maggioranza era D’Alema».
Una cosa naturale, quindi, non un complotto.
«Quando nacque il governo D’Alema io dissi ai miei
consiglieri: “Nasce un governo settimino”. L’ipotesi
di un governo D’Alema era nel conto, anche se proiettata
più in là».
Berlusconi disse che si trattò di una forzatura, che
gli italiani avevano votato Prodi, non D’Alema. E che bisognava
rifare le elezioni.
«La Costituzione è di una chiarezza assoluta. Se
in Parlamento c’è una maggioranza e questa maggioranza
indica il nome di un premier, il Capo dello Stato non può
che prenderne atto».
Come nacque la candidatura di D’Alema?
«All’inizio si pensava o a Dini o a Ciampi. Certamente
Dini aveva particolari agganci con gli Usa. Ma anche Ciampi
era un buon nome per i suoi agganci europei. Ma poi vennero
in diversi al Quirinale e mi dissero: è nata una nuova
maggioranza, in Parlamento, con l’aiuto di Francesco Cossiga,
che ha agganciato Mastella. Questa maggioranza voleva assolutamente
Massimo D’Alema. Il Parlamento riprendeva i suoi poteri.
Non avevo titolo per proporre soluzioni diverse».
Con Berlusconi, diceva, fu diverso.
«Berlusconi non chiese la fiducia e venne da me a rimettere
il mandato. E mi chiese tre cose: sciogliere il Parlamento,
indire nuove elezioni e lasciare lui a capo di un governo minoritario.
Io risposi tre no. Non mi sarà perdonato per i secoli,
ma la Costituzione è la Costituzione».
Perché non sciolse le Camere?
«Avevamo già vissuto una situazione delicatissima
nel 1993. Più di cento parlamentari erano sotto processo
o temevano di trovarsi con un avviso di garanzia il giorno dopo.
Se la rivoluzione andava in piazza e ci scappava un morto, dove
saremmo andati a finire? E ora, sciogliere le Camere che non
avevano ancora un anno di vita? Su che tema? Quale sarebbe stato
il tema delle elezioni? Stavamo ancora vivendo una grande trasformazione
perché i partiti che avevano governato erano andati in
crisi. Ci trovavamo di fronte a una parte della maggioranza,
la Lega, che toglieva la fiducia al Governo lasciandolo in minoranza.
Su mia richiesta, al fine di non aumentare rotture in un momento
tanto delicato, il presidente del Consiglio Berlusconi, propose
che il Governo lo facesse Dini. Atro che ribaltone!».
Il Capo dello Stato - dice - ha poteri limitati, ma una sua
parola, un suo sospiro, un suo sorriso… Lei per esempio
disse di no quando Berlusconi propose Previti come ministro
della Giustizia.
«Non fu un sorriso. Dissi chiaramente che non avrei firmato.
Lui mi disse: “Voglio Previti perché è il
mio avvocato”. Io dissi “Proprio per questo non ritengo
che sia sostenibile”»
.
Come finì?
«Io gli dissi: guarda, Previti non è proponibile.
Ma mi resi conto che lui lo avrebbe proposto ugualmente. Allora,
mentre stava uscendo dalla porta, lo richiamai: “Scusa,
vorrei che tu uscissi da questa stanza avendo le idee chiare:
quel nome alla Giustizia non passa dal mio tavolo”».
E Berlusconi?
«Accettò di spostare Previti alla Difesa».
Dicevano tutti che Previti era comunque il vero ministro
della Giustizia.
«È vero che fece qualche riunione solo su temi
di giustizia, ad una di queste invitò anche il capo dell’ufficio
giuridico del Quirinale».
Quest’anno lei è molto attivo, è sempre
in giro, sembra la Madonna Pellegrina.
«Nelle ultime settimane: sono stato a Pinerolo, a parlare
sulla pace e l’articolo 11 della Costituzione invitato
dal vescovo. A Livorno, invitato dall’Associazione dei
perseguitati dal fascismo. A Grosseto a commemorare dieci ragazzi
che furono uccisi perché si rifiutarono di aderire alla
Repubblica di Salò. All’Università di Roma,
tre ore di dibattito con il presidente Elia e gli studenti.
E ancora in una parrocchia di periferia a parlare sempre di
pace».
Lei ce l’ha la bandiera della pace?
«Sì, certamente. Me l’ha regalata un’associazione
universitaria. Con una montagna di firme».
L’ha appesa alla finestra?
«No. L’ho appesa in anticamera».
Baget Bozzo ha la bandiera americana sull’altare, in
salotto.
«Ho conosciuto Baget Bozzo prima che fosse sacerdote.
È stato con la sinistra e con la destra. Ha una grossa
capacità, di studio, di conoscenze, di memoria. L’equilibrio
però è un’altra cosa».
Una volta si diceva che la Dc dipendeva troppo dal Papa. Adesso
tutte queste piccole Dc che sono rimaste, Udc, Udeur, Ccd, Ppi
non lo ascoltano nemmeno quando parla della Pace.
«Il Papa è stato grandioso in questa battaglia
per la pace, perché non ha rappresentato la Chiesa cattolica,
ha rappresentato l’umanità. Il grido del Papa per
la pace è stato formidabile e laico. Quando il Papa venne
in Parlamento a parlare di atto di clemenza ho visto un applauso
universale. Ma poi l’amnistia non c’è stata.
Il servilismo non è mai un’adesione, è sempre
una debolezza della spina dorsale».
I cortigiani…
«Vil razza dannata».
Dannata ma prolifica. Prendiamo per esempio gli ex Dc.
«Quando chiesi loro in una intervista quale fosse la linea
oltre la quale pensavano di non andare, non ho avuto risposta.
Ci sono atteggiamenti del volto, parole sussurrate, che mostrano
il loro disagio, però in Parlamento non ho mai visto
nessuno distinguersi, salvo a scrutinio segreto. E se è
vero che lo scrutinio segreto può rappresentare una libertà
del singolo, bisogna dire che non è la libertà
più limpida, più decorosa, più degna. Più
che di cortigianeria parlerei di vocazione servile».
L’adulazione è più forte a destra o a
sinistra?
«È il carro del vincitore quello che attira, le
ideologie non contano. Ho visto anche persone di statura scrivere
pagine infelici della propria biografia. Ma il politico serio
deve saper dire dei no, dispiacere ai propri elettori e accettare
l’idea di non essere rieletto».
La figura del cortigiano, nella cultura politica, non è
sempre negativa. Gianni Letta, per esempio, è tecnicamente
un cortigiano, ma non un adulatore.
«Gianni Letta era già un autorevole dipendente
dell’azienda del presidente del Consiglio. È una
persona di grandi capacità. Nessuno lo accuserebbe di
servilismo».
Lo stesso si può dire di Fede, di Bondi?
«Fede è uno che vuole veramente bene al Presidente
del Consiglio e a tutto quello che fa. Accetto al massimo qualche
battuta di amabile presa in giro, ma non lo iscriverei fra i
servitori volgari».
E Bondi?
«È rimasto un comunista in divisa».
A Berlusconi piacciono i comunisti, purché siano ex.
«Anche gli ex socialisti. Ce ne sono nella Casa delle
Libertà. È un fatto politico sconcertante. Gente
che ha avuto anche grosse responsabilità».
Dicono: siamo socialisti anche nella Casa delle Libertà.
«Ma come fanno, se sono di sinistra, a stare in un gruppo
che si dichiara di destra? Il salto è troppo grosso.
Ricredersi e cambiare pensiero è un atto di intelligenza
e di dirittura morale. Se un ministro democristiano diventa
comunista rifiutando posti di potere io lo rispetto. Ma chi
cambia idee e acquista potere certamente è un opportunista».
Ferrara è un voltagabbana? E Adornato? Erano comunisti.
«I loro sono comportamenti che non mi sento di apprezzare».
Bertucci era di Forza Italia. È passato con Mastella.
Poi è tornato in Forza Italia. Governo-opposizione-governo,
andata e ritorno in pochi mesi.
«Non conosco Bertucci, ma questi passaggi dirompenti o
hanno ragioni di sostanza o è solo abilità. È
il salto fra l’intelligenza e la furbizia.».
D’Antoni aveva detto, presentandosi alle elezioni, che
non sarebbe andato a destra. Poi è andato a destra e
ora è tornato a sinistra.
«Infatti, è tornato all’ovile».
Ancora uno. Maurizio Lupi, giovane rampante ciellino di Forza
Italia, mi ha detto che non c’è nessuno più
voltagabbana di Oscar Luigi Scalfaro perché è
passato dalla Dc più di destra che ci fosse, alla sinistra
dei girotondi.
«Io non sono mai stato della destra dc. Sono sempre stato
del centro degasperiano. Quando ho avuto incarichi di ministro,
ho governato. Prima ho fatto il Ministro dei Trasporti, e ho
avuto un rapporto ottimo con i sindacati. Prima di me c’era
uno sciopero ogni venti giorni alle Ferrovie. Durante il mio
ministero ho avuto uno sciopero solo».
Lei ha nemici?
«La mia religione dice che bisogna amare senza eccezioni.
Sono un poverissimo credente e cerco di seguire questa strada».
È facile?
«No. È difficile».
A volte gli attacchi sono duri. Per esempio Filippo Mancuso.
«Aveva avuto la sfiducia e aveva perso il suo ministero.
Ma la sfiducia era venuta dal Parlamento e dal suo premier che
era Dini».
Fanfani una volta disse che lei è vanitoso. L’ha
definita «un tacchino che fa la ruota 24 ore al giorno».
«Mai sentito«.
Della sua vanità ha parlato anche Galloni. Sarà
forse vero?
«Avrò sicuramente della vanità, però
nessuno può negare che ho sempre detto quello che penso
e mai alle spalle».
Potrebbe essere questa la sua vanità.
«Però è perlomeno scomoda».
Che giudizio dà di Berlusconi?
«Non do giudizi sugli uomini, do giudizi su come uno fa
la politica».
Non si può negare che abbia rinnovato il linguaggio
della politica. Voi Dc parlavate di convergenze parallele. Se
lo immagina Berlusconi che parla di equilibri più avanzati?
«È una persona che parla contro la politica essendo
da più di dieci anni in politica e avendone la responsabilità
più alta, una delle più alte».
Il consenso ce l’ha.
«E bisogna prenderne atto. Ma il voto non è un
detersivo. C’è sempre rischio quando il potere è
in mano a persona che detiene una ricchezza enorme. Il potere
unito ad una grande ricchezza può creare situazioni riscshiose».
Oggi c’è il regime o non c’è il regime?
«Ci sono dei sintomi, specie nel settore delle telecomunicazioni
che preoccupano seriamente».
Biografia
Oscar Luigi Scàlfaro
E' nato il 9 settembre 1918 a Novara.
Laureato in Giurisprudenza nel 1941.
Vedovo di Maria Inzitari dalla quale ha avuto una figlia.
Ha vinto il concorso per entrare in magistratura nel 1942.
Eletto all'Assemblea Costituente.
Eletto Deputato al Parlamento nel 1948, 1953, 1958, 1963, 1968,
1972, 1976, 1979, 1983, 1987, 1992.
E' stato nominato Sottosegretario al Ministero del Lavoro e della
Previdenza Sociale nel 1954 (I Governo Fanfani).
E' stato nominato Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio
dei Ministri ed allo spettacolo nel 1954 (Governo Scelba).
E' stato nominato Sottosegretario al Ministero di Grazia e Giustizia
nel 1955 (I Governo Segni); nel 1957 (Governo Zoli).
E' stato nominato Sottosegretario di Stato al Ministero dell'
Interno nel 1959 (II Governo Segni); 1960 (Governo Tambroni);
1960 (3° Governo Fanfani)
Vice Segretario Politico della Democrazia Cristiana dal 1965 al
1966.
E' stato nominato Ministro dei Trasporti e dell'Aviazione Civile
nel 1966 (III Governo Moro); nel 1968 (II Governo Leone); nel
1972 (1° Governo Andreotti).
E' stato nominato Ministro della Pubblica Istruzione nel 1972
(II Governo Andreotti).
E' stato eletto Vice Presidente della Camera dei Deputati nel
1975, 1976, 1979.
E' stato nominato Ministro dell'Interno nel 1983 (I Governo Craxi);
nel 1986 (II Governo Craxi); nel 1987 (VI Governo Fanfani).
Dopo le dimissioni del Presidente Craxi, il Presidente della Repubblica
Cossiga gli ha conferito l'incarico di formare il Governo il 10
aprile 1987: constatata l'impossibilità di costituire un
Gabinetto di coalizione, ha rinunciato all'incarico il 14 aprile
successivo.
Ha presieduto la Commissione parlamentare di inchiesta sugli interventi
per la ricostruzione dei territori della Basilicata e Campania
colpiti dai terremoti del 1980-81.
E' stato eletto Presidente della Camera dei Deputati il 24 aprile
1992.
E' stato eletto Presidente della Repubblica il 25 maggio 1992
(al sedicesimo scrutinio con 672 voti su 1.002). Ha prestato giuramento
il 28 maggio 1992.
Ha rassegnato le dimissioni il 15 maggio 1999.
E' divenuto Senatore a vita quale ex Presidente della Repubblica.
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