ROMA
- Ormai e' quasi fatta per la pizza doc. Dopo circa 4 anni di
complesso iter burocratico consumato a colpi di relazioni tecniche,
ricette e disciplinari, anche la ''napoletana'', tesoro
storico della tradizione gastronomica nazionale, potra' fregiarsi
dell'ambito marchio. Un baluardo, quello della ''specialita' tradizionale
garantita'' (STG), eretto a difesa delle tante imitazioni
sfornate quotidianamente nel mondo.
Ormai
siamo in dirittura d'arrivo, assicurano dal ministero per le Politiche
Agricole guidato da Gianni Alemanno, che due anni fa siglo'
una ''santa alleanza con il Comune di Napoli per raggiungere
l'obiettivo'', sul modello di quanto fatto con la Regione
Liguria per ottenere la certificazione di qualita' del pesto.
'' Finalmente - dice con orgoglio Antonio Pace, presidente dell'associazione
Verace pizza napoletana - la regola che ci siamo dati fin qui
volontariamente diventa una regola scritta e riconosciuta che
ha forza di legge e che consentira' di sottoporre a controlli
precisi chi vuole esporre il marchio di garanzia della vera pizza
napoletana.''
Con
la pizza quindi non si potra' piu' scherzare. Non solo caratteristiche
precise per farina, olio, pomodori e mozzarella, o per gli strumenti
(dai forni ai mestoli e alle pale), ma anche rituali ben definiti
per la preparazione degli ingredienti o le tecniche di cottura.
E ancora la temperatura del forno che i maestri imparano a riconoscere
dal colore delle mattonelle della cupola o la pala di legno che
va mossa come la lingua di un serpente per evitare che diventi
un tizzone ardente nel forno a quasi 500 gradi.
Il
primo passo risale al giugno del 2000 quando il titolare del dicastero
dell'agricoltura era Alfonso Pecoraro Scanio, anch'egli
grande sostenitore della causa della pizza napoletana. E dopo
numerosi studi, l'associazione pizzaiuoli napoletani e quella
verace pizza napoletana hanno consegnato un elenco dettagliato
di tutte le regole da rispettare per arrivare all'ambito marchio
STG. A questo punto, dopo il parere dell' Istituto di Cerealicoltura
e la pubblicazione della Gazzetta Ufficiale, tutto e' pronto per
inviare il pacchetto a Bruxelles.
L'
imitazione e' sempre un segno di apprezzamento, ma l'originale
va tutelato. ' Il nostro e' un mestiere che si impara in un
anno, un anno e mezzo e solo lavorandoci, stando a contatto con
chi puo' trasmetterti tutti i segreti di quest' arte'', spiega
Sergio Miccu', presidente dell'associazione pizzaiuoli napoletani,
che riunisce i puristi del mestiere (240 soci in Italia, 22 in
Giappone, 8 in America e 2 persino nelle Barbados, ''rigorosamente
di origine napoletana pero''').
Un rituale
antico che ormai produce ogni settimana 56 milioni di pizze tonde
e che muove nelle circa 23.000 pizzerie d' Italia un giro d'affari
valutabile, secondo gli ultimi dati della Fipe-Confcommercio, in
oltre 2,2 miliardi di euro. Un fenomeno in continua espansione,
ma che si confronta, nel mercato globalizzato, con realta' forse
meno raffinate, ma di gran lunga piu' grandi, come gli Usa. Alle
due catene industriali gia' quotate alla Borsa di New York (Pizza
Hut e Papa John's International) va proprio in questi giorni ad
aggiungersi sul listino, la seconda catena di pizzerie degli Usa:
Domino's Pizza, un colosso da 4,2 miliardi di dollari di fatturato
e 7.400 punti vendita. Da una parte quindi i maestri leggendari
e le pizzerie dei vicoli popolari che si tramandano da generazioni
dosi e tempi di lievitazione di una ricetta finalmente doc, e dall'altra
il business miliardario d' oltreoceano, dove il fenomeno pizza,
dal 1895, quando Gennaro Lombardi a Little Italy apri'
la prima pizzeria di New York, ha trasformato il piatto dei
poveri nel piu' grande business alimentare del pianeta. |