Quisqueya:
chiaroscuri del paradiso
La
Hispaniola fu la prima isola colonizzata da Colombo, che decise
di abitarvi. Era la più popolosa e importante delle Antille,
con le cordigliere più elevate e boscose, profonde valli,
fertili pianure, coste traforate di grotte carsiche e orlate
di isolotti. Quisqueya, come la chiamavano gli indigeni taíno,
incarnò più d'ogni altra terra caraibica il mito
del giardino dell'Eden. Sterminati ben presto i nativi dai conquistatori
europei, l'isola ospitò piantagioni di canna da zucchero,
tabacco, caffè, banane in cui lavorarono schiavi africani.
Fu covo di pirati e teatro di guerre d'indipendenza, invasioni
di marines, scontri civili.
Oggi ha uno dei più alti tassi di sviluppo al mondo,
un sistema politico che vuol superare il retaggio delle dittature
verso una democrazia compiuta, un invidiabile dinamismo che
contrasta con la staticità dei paesi vicini e una notevolissima
vitalità culturale soprattutto in ambito letterario,
musicale e delle arti plastiche.
La
Repubblica Dominicana con la sua anima ispanofona bianco-mulatta
e Haiti con la sua anima francofona nera vivono quasi dandosi
le spalle, ma non possono prescindere l'una dall'altro: sono
come una farfalla dalle ali di diverso colore, e lungo la frontiera
si assaporano tensione e mescolanza. Oltre a questa duplicità,
a Quisqueya si intrecciano molte altre polarità: la tumultuosa
metropoli Santo Domingo e i tranquilli villaggi dell' interno;
i dominicani rimasti e quelli emigrati a New York, seconda capitale
del paese, con la cui colonia i legami sono strettissimi; le
zone turistiche con hotel di lusso su candide spiagge e tutta
una variegata realtà estranea alle cartoline, che pulsa
tra la magia afroantillana e la devozione popolare, le ferite
di un violento passato di stenti e le università dove
si progetta un libero futuro, l'inarrestabile gioioso ondeggiare
del merengue e il dolceamaro melodramma della bachata.
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